SE PAPÀ PERDE IL LAVORO…

Le preoccupazioni attuali e la crisi del mondo dei grandi spesso rischiano di spaventare anche i più piccoli. 
Il nostro compito è proteggerli, perché non debbano sentire le ansie e le preoccupazioni di un mondo adulto, senza per altro disporre degli strumenti che gli adulti hanno per affrontarlo correttamente

In campagna, nel giardino di nonno Achille, c’è un trattore grande e forte, che vive nel garage  con la sua mogliettina, una bella giardinetta rossa che ama andare a spasso con i suoi cuccioli.

Papà trattore lavora tutto il giorno in campagna con il nonno. Lo aiuta a smuovere la terra dei campi e lo accompagna per pulire il terreno, vicino agli alberi di ulivo; i cuccioli intanto giocano con i nipotini del nonno.

Un giorno però, il nonno ha deciso di andare in pensione: vuole vendere i suoi campi e aver il tempo per riposare, insieme alla nonna.
“Sono diventato vecchio,” dice al trattore. “Io non voglio più lavorare nei campi.”
Il trattore lo guarda, lo ascolta, ma si sente triste.“E io che farò tutto il giorno?” pensa.

Così il trattore si trova tutto il giorno fermo, in giardino. Non ha nulla da fare e si annoia. Gli uccellini adesso vengono a sedersi sulla sua sella, perché non fa più rumore, ma lui li lascia stare: sembra che non gli importi nulla.

“Perché papà non gioca più con noi?” Chiedono i cuccioli alla mamma. Lei però non sa che rispondere.
“Abbiate pazienza con papà,” dice loro. “È sempre fermo perché è molto stanco.”
“No,” dice il suo cucciolo più piccolo: “È solo triste.” 
E ha ragione.

Allora i bambini decidono di chiamarlo: “Papà, papà,” urlano. “Corri!”
Papà si spaventa: “Che c’è? Che succede?” 

Finalmente il motore parte di nuovo e tutti gli uccellini scappano, spaventati. Quando arriva dai suoi bambini, papà è tornato quello di sempre: gli è bastato muoversi un po’, per riprendere il suo buon umore.


QUANDO PAPÀ SI ARRABBIA

Davanti alla rabbia e alle urla dei genitori, i bambini si sentono impotenti.
Ecco una favola per aiutarli a sdrammatizzare e ad ipotizzare nuove soluzioni per ridurre i comportamenti aggressivi degli adulti


Nella mia cucina abita un’allegra famiglia di pentole.
La mamma è una padella antiaderente, il papà una pentola a pressione e insieme hanno avuto una nidiata di cuccioli: pentolini per le uova, bricchi per scaldare il latte e perfino una schiscetta dove tenere il pranzo riscaldato.

Io li osservo quando si ritrovano tutti insieme nel lavello, per il bagno quotidiano. I bambini giocano: si schizzano tra loro o fanno gli scherzi a qualche bicchiere che è lì a fare il bagno. Mamma e papà parlano del futuro, fanno progetti per le vacanze, discorrono della scuola dei loro figli.

Ogni tanto però papà si arrabbia e allora, pesante com’è, scivola sui piattini della frutta, tutti pieni di sapone e si mette ad urlare. Io non mi spavento, perché anche il mio papà urlava, quando ero piccola. Ma i pentolini iniziano a tremare: la più piccola si mette addirittura a piange e se mamma padella, fa per consolarla, il papà si arrabbia ancora di più. Una volta ha urlato talmente forte che ha rotto una tazzina da caffè. Io allora mi sono fatta venire un’idea: sentite qui.

Ho fatto un risotto buonissimo, con lo zafferano con la pentola a pressione, e quando era pronto, l’ho portato dalla mia vicina di casa. “Assaggiane un po’,” le ho detto , strizzandole l’occhio e lei ha capito subito, perché io le parlo sempre della famiglia di pentole che abita nella mia cucina. Poi sono tornata a casa mia e ho chiamato tutte le pentole: “Ragazzi,” ho detto. “Mentre papà è dalla signora Rosa, facciamo un piano.”

“Ma cosa possiamo fare?” piagnucolava un pentolino da frittata, che quando sente urlare papà, si mette sempre a piangere.
“Facciamo così, la prossima volta che papà urla, ci penso io. Voi però non dovete piangere né spaventarvi: dovete solo fare finta di non sentirlo.”

Non abbiamo dovuto aspettare molto, perché quella stessa sera, dopo essere tornato a casa, papà era molto nervoso e ha cominciato a muoversi nel lavandino e stava già iniziando ad urlare, quando io ho detto: “Mi sembra di sentire uno strano rumore: poi ho aperto il rubinetto e l’ho riempito prima di sapone per i piatti e poi d’acqua.”

Adesso la pentola mi guardava con sospetto, ma non riusciva proprio a spostarsi.
“Chi si arrabbia troppo,” ho detto io, “rischia di farsi male da solo..”
Da quella volta papà pentola a pressione non ha smesso di arrabbiarsi, ma ogni volta che io me ne accorgo gli riempio la pancia d’acqua insaponata e lui vi posso assicurare che lui urla molto meno.

NON LITIGATE DAVANTI A ME

Capita che i genitori litighino. Non c'è nulla di strano. Eppure ai bambini da molto fastidio vedere due persone a cui vogliono bene, mentre si scontrano o si aggrediscono.
Forse è possibile rimandare i momenti di lite, quando i bambini non sono presenti. Per noi può essere una semplice litigata, che passa. Per loro, può rappresentare più facilmente un dispiacere.


Un pescespada maschio aveva sposato una bellissima pescespada femmina e avevano avuto 11 piccoli pescetti con una bella spada al posto del naso.

Erano una bella famiglia e stavano bene insieme, ma come tutte le famiglie del mondo, ogni tanto gli capitava di litigare e di arrabbiarsi.

I piccoli si facevano i dispetti tra loro e quando succedeva si arrabbiavano e piangevano. 
Ogni tanto anche mamma e papà litigavano. 
Quelli erano i momenti più brutti, perché quando sentivano papà urlare e mamma strillare i pesciolini scappavano a nascondersi tra le alghe e dietro i sassolini sul fondo del mare.

Quel giorno la mamma era infuriata. 
Papà Pescespada aveva dimenticato non so più cosa e lei urlava come un pesce Squalo.

I piccoli si erano nascosti dietro l’armadio della sala e tremavano dalla paura, ma stavano bene attenti a non perdere neanche una parola di quella lite. 
“È stata tutta colpa tua..” urlava la mamma. 
“No, tua.” Gridava papà. E avanti così per un sacco di tempo.
Poi finalmente avevano smesso.

“Che è successo qui?” chiese la mamma entrando in sala. 
I piccoli si guardarono intorno. Il bel divano color verde acqua era tutto rovinato come se ci fosse saltato sopra un bambino con le forbici al posto delle mani..
“CHI È STATO?” Gridò papà.

Allora il più grande degli 11 fratellini, senza farsi spaventare, rispose: “Siete stai voi due: urlavate come balene e noi qui giù a sentire le vostre urla, non ci siamo accorti che con le nostre spade di pesce, abbiamo tagliuzzato tutto il divano.”
“E anche le tende,” disse un altro.
“E pure la tovaglia..” disse l’ultimo nato.

Da quel giorno papà e mamma Pescespada hanno imparato la lezione e quando vogliono litigare, se ne vanno dove l’acqua è profonda e urlano e gridano e i loro piccoli sono molto più contenti.

LA MANINA MALEDUCATA

Imparare le regole della buona educazione, può diventare un gioco da fare insieme ai bambini. 
Solo così sarà facile aiutarli a capire l'importanza del gioco e del loro ruolo, nell'educazione


C’era una volta un bambino che aveva una mano capricciosa e un po’ disubbidiente.

Quando stavano a tavola, la mano voleva andare sotto il tavolo ad osservare la situazione, cercare le briciole cadute sulla sedia o giocare coi soldatini.
Allora la mamma si arrabbiava.
“Le mani sulla tavola..” diceva la mamma, e la mano di quel bambino subito correva sulla tavola.
“Io non ci posso fare niente, mamma.” Diceva il bambino: “È la mano che non ubbidisce.”

Quando poi un maccherone non voleva salire sulla forchetta, la manina subito aiutava il maccherone, ma la mamma si arrabbiava.
“Fuori le mani dal piatto..” urlava; “Usa il pane per spingere,” e la mano di quel bambino subito prendeva un pezzo di pane e aiutava il maccherone a salire sulla forchetta.

E quando arrivava il dolce? Una volta la mamma aveva fatto una torta buonissima con fragole e panna montata. La manina – che oltre ad essere disubbidiente, era molto golosa – aveva fatto una riga nella panna montata e se l’aveva fatta assaggiare al bambino.
“Che fai?!?!” aveva urlato la mamma.
“Non sono io,” disse il bambino: “È stata la mia mano: che colpa ne io, se lei non ubbidisce??”

Papà non diceva niente, ma osservava la scena in silenzio. 
Quando vide che il bambino si era messo un dito nel naso, disse alla mamma: “Il nostro bambino ha ragione, quella mano è proprio maleducata. E lui si prende sempre la colpa. Diamole una bella punizione..”
“A chi?” chiese il bambino che aveva ascoltato tutto e si era tolto veloce la mano dal naso.
“Alla mano,” disse papà. “La vorrei legare alla gamba del tavolo, così smette di andarsene in giro a fare tutto quello che le pare e piace.”

“E io?” chiese il bambino. “Vorrei uscire a giocare a palla, andare a fare un giro in bici, guardare un cartone, disegnare..”
“Hai proprio ragione, tesoro.” Disse papà. “Ma come puoi ben capire quella mano è troppo disubbidiente. Vedrai che dopo essere rimasta in castigo 5 o 6 giorni si comporta come si deve.”
“5 o 6 giorni??” Chiese il bambino.
“Se bastano: altrimenti 10, 20, 50…”

A quel bambino venne il mal di mare.

“E se la convinco a comportarsi bene?” Chiese a papà.
“Beh, in questo caso potremmo liberarla subito.”
E quel bambino riuscì in un baleno a convincere la sua manina a diventare educata.