FAVOLA PER I CIUCCIA-DITO

Non è semplice per un bambino perdere l'abitudine di ciucciare il pollice o il ciuccio. Però molti medici ritengono che sia poco sana per il palato. Ecco una favola per tutti quei bambini che amano stare con il pollice in bocca...


C’era una volta il dito pollice di un bambino che si sentiva terribilmente solo. 
Mentre i suoi amici, l’indice, il medio, l’anulare e perfino il mignolo giocavano felici con il palmo della mano, il piccolo pollice passava tutto il giorno chiuso nella bocca del bambino.

Dentro la bocca non si vede niente ed è anche molto umido. Solo la lingua passa – una volta ogni tanto – ma non è neanche tanto simpatica. 

Quel piccolo pollice era davvero triste e gli veniva anche un po’ da piangere. 
Un giorno però sentì la mamma che diceva: “Matteo, perché tieni sempre il dito in bocca? Lascialo uscire, lascialo respirare.”

Il bambino (che era un BRAVO bambino) diede retta alla sua mamma: asciugò il pollice con il bordo della sua maglietta e lo tenne fuori dalla bocca per tutto il giorno. Non vi dico la felicità di quel piccolo pollice: saltava e rideva.

Il giorno dopo però Matteo lo rimise in bocca e il pollice si ritrovò di nuovo al buio. 
Quando la mamma gli disse di toglierlo di bocca, Matteo protestò. “Mi piace tenere il dito in bocca.. “ Allora la mamma prese in braccio Matteo e insieme guardarono quel piccolo dito.

“Ciao Pollice,” disse la mamma. “Stai bene dentro la bocca di Matteo?”
“No...” pianse il pollice. “Vorrei stare fuori all'aperto, come ieri.”
Matteo non si aspettava che il suo pollice parlasse. 
“Ti piace stare fuori dalla bocca?” Chiese incredulo, per vedere se il dito rispondeva di nuovo.
“Certo,” rispose il pollice. “A te non piace andare fuori ai giardinetti a giocare?”
Matteo capì che il pollice aveva ragione.

“Vorrei lasciarti uscire, ma io sono abituato a tenerti in bocca. Certe volte mi ritrovo a ciucciare il dito senza neanche pensarci.”

Allora la mamma ebbe un’idea. Costruì un vestitino di stoffa per il pollice: la mattina glielo metteva e la sera glielo sfilava. Matteo si abituò a non mettere in bocca il dito per tutto il giorno, ma la sera lo infilava in bocca e ci si addormentava.

PER CHI NON VUOLE MANGIARE IN MENSA

Il tema dell'alimentazione per un bambino può diventare un terreno delicato, sia perché questo sta particolarmente a cuore al genitore, rendendolo ricattabile, ma anche perché al cibo sono legate sensazioni particolari e familiari, che il bambino potrebbe decidere di non voler abbandonare. Ecco la favola adatta se non vuole mangiare il cibo della mensa.


Il vitellino Carlo vuole bene alla sua mamma e mangia solo il suo latte. Non vuole altro. Perché quello della sua mamma è il latte più buono e più dolce che c’è. La mamma ha provato a dargli dell’erba e della biada, ma Carlo sputa tutto: vuole solo il latte della mamma.

Allora alla mamma mucca viene un’idea e quando i vitelli vanno al prato, ci manda anche Carlo. “Divertiti, tesoro: ci vediamo stasera.”
Il vitellino Carlo è molto contento: gioca, salta e corre ma quando arriva il momento di mangiare cerca il latte della mamma.

“Qui non c’è la tua mamma e neanche il suo latte. Noi qui mangiamo l’erba del prato.” Gli spiega il suo amico Giocondo.
“Pfui: che schifo!” Protesta Carlo, poi si siede in un angolo e aspetta che gli altri abbiano finito il pranzo, per ricominciare a giocare. Intanto gli viene fame.

“Non mangi?” Chiede Giocondo, masticando. “L’erba è buonissima…”
Carlo fa segno di no con la testa.
“Mangia un po’ d’erba,” insiste Giocondo, ma Carlo non vuole.
“È cattiva,” risponde. “Io voglio solo il latte della mia mamma.”

Dopo pranzo i vitelli ricominciano a giocare, ma la fame di Carlo continua ad aumentare e il cucciolo si sente debole e stanco.
“Non giochi?” Chiede Giocondo, ma Carlo non sta bene. “Se non mangi, non puoi più venire con noi al pascolo, adesso è ora di saltare e correre fino a casa.” Ma Carlo non ha neanche la forza di alzarsi.

“Scommetto che se mangi un po’ d’erba, la forza ti viene.”
Carlo non vorrebbe, ma avvicina il muso al terreno e strappa un ciuffo d’erba. Lo mastica a lungo. Il sapore è molto diverso da quello che ha il buon latte della sua mamma. Prende un altro boccone, poi un altro poi un altro ancora. Comincia a sentirsi meglio.
“Forza mangione,” lo chiama Giocondo. “Adesso è ora di tornare a casa.”
Carlo si alza felice e pieno di energie perché ha mangiato tanta buona erba; sì, ma anche perché sa che a casa lo aspetta una porzione gigante di latte di mamma. 

LA PANCIA DI MAMMA ORSA

Quando la mamma aspetta un fratellino, la sua pancia si gonfia misteriosamente. I bambini, come Piccolo Orso, se ne accorgono e hanno mille domande a cui dobbiamo rispondere nel modo migliore, con attenzione, ma senza dare troppi dettagli che risulterebbero difficili da comprendere.


Una famiglia di Orsi se ne andava a spasso per il bosco: Papà Orso, Mamma Orsa e Piccolo Orsetto.

Raccoglievano fragole e mirtilli, mangiavano miele e bevevano l’acqua fresca del ruscello. Ad un tratto 

Piccolo Orso si sentì stanco e sedette in braccio alla sua mamma; una volta lì, si accorse che la pancia della mamma era molto più grande del solito.

“Mamma,” le disse: “credo che tu abbia mangiato troppe fragole. La tua pancia sta diventando grande come quella di papà.”
“Lo penso anch’io,” disse Papà Orso.
“Forse hai mangiato troppo miele,” Aggiunse Piccolo Orso. “È meglio se lo dai a me, da ora in poi, se non vuoi diventare grassa come un ippopotamo.”

La Mamma sorrise al suo piccolo. “La pancia sta crescendo, questo è vero. Ma non è colpa delle fragole e neanche del miele.”
Il cucciolo non capiva, allora mamma lo abbracciò più stretto.

“Vedi,” disse, “nella mia pancia ora c’è un fratellino: un piccolo di orso che si sta preparando a nascere.”
“Perché sta lì dentro?” Chiese Piccolo Orso. “L’hai forse mangiato?”
Mamma Orsa sorrise. “Niente affatto: ho piantato un semino di orso nella pancia e adesso sta crescendo lì dentro, come una piantina.”

“E la pancia diventerà sempre più grande?” Chiese Piccolo Orso.
“Certo,” rispose Mamma Orsa, “Quando il cucciolo diventa abbastanza grande, uscirà di lì e lo potremo vedere e abbracciare. Lui sarà felice di conoscerti e vorrà giocare sempre con te.”



QUANDO ARRIVA UN COMPAGNO NUOVO

Quando arriva un nuovo compagno è difficile accettarlo subito.. Spesso i bambini hanno la tentazione di isolarlo. Eppure saper guardare ciò che è nuovo arricchisce il nostro mondo. La favola è scritta per i più piccoli, ma vale anche per noi grandi.


In un ripiano del supermercato, vicino alle patatine e ai popcorn, qualcuno ha appoggiato per sbaglio una scatoletta di tonno.
“Chi è quello?” Chiede un pacchetto di patatine rustiche. Tutti si girano a guardare la scatoletta di tonno.
“Non so,” risponde un pacchetto di patatine tradizionali. “A me non l’ha presentato nessuno e se devo dire la verità non voglio neanche conoscerlo.”
“Ha una faccia talmente antipatica,” dicono i popcorn
“Scommetto che non sa neanche scrivere.” Aggiungono le patatine al peperoncino.
Il tonno sorride. “Ciao a tutti,” ma i pacchetti di patatine si girano dall'altra parte e lo prendono in giro. “Che antipatici,” pensa la scatoletta di tonno. Come vorrebbe tornare nel suo ripiano insieme a tante altre scatolette di tonno come lui. Lì nessuno lo prendeva in giro o si girava dall'altra parte invece di salutarlo.
Mentre se ne sta lì, triste e pensieroso, passa di lì un bambino, con la sua mamma.
“Possiamo comprare le patatine?” Chiede il bambino.
“No, niente pasticci.” Dice la mamma. “Però prendi quella scatoletta di tonno, che ti cucino un piatto speciale.”
“Certo mamma,” e il bambino afferra la scatoletta.
“Ma come??” si lamenta un pacchetto di patatine a triangolo. “Preferiscono lui?”
In quel momento il tonno apre la bocca e parla al bambino: “Prendi anche un pacchetto di patatine: il tonno sta bene con le patatine.”
Tutti i pacchetti si girano a guardarlo. “Ehi, ma è simpatico!” Dice un pacchetto di patatine al formaggio.
Il bambino lo ascolta attento. “Tu quali consigli?” Chiede alla scatoletta.
“Sono tutte buone,” risponde quella.
“Allora ne prendo una qualsiasi. Mamma posso?”
“Va bene, Francesco, ma adesso andiamo.”
Il bambino, la mamma, la scatola di tonno e il pacchetto di patatine vanno via contenti.
“Peccato che se ne sia andato,” dice il pacchetto di patatine rustiche: “In fondo era simpatico.” La prossima volta ci penseranno bene prima di prendere in giro qualcuno capitato per sbaglio nel loro ripiano

PER CHI NON AMA LAVARSI I DENTI

Non solo i bambini hanno i denti, ma anche le rotelle degli orologi e tutti vanno lavati, altrimenti (prima o poi) si rischia di avere un danno. Ecco cosa fa capire questa favola al povero zio Alfonso e a tutti i bambini che avranno voglia di ascoltarla.
3.3 (9 74) LAVARSI I DENTI

C’era una volta, nel salotto di zio Alfonso, una vecchio orologio a pendolo che non mentiva mai e che mai si era fermato.

Tutti i giorni, al passare di ogni ora, con una precisione più unica che rara, l’orologio parlava. “Ding” diceva l’orologio e zio Alfonso ad ogni Ding alzava lo sguardo e guardava la lancetta lunga ritta in piedi, verso le 12. E tutte le volte che lo sentiva, zio Alfonso pensava a che ora era e a cosa doveva fare in quel momento.
Era più di un orologio, per lo zio Alfonso: era un vecchio amico, caro e prezioso; e come spesso succede, anche se si vedevano tutti i giorni (o forse sarebbe meglio dire che lo zio Alfonso guardava il suo orologio tutti i giorni), in profondità, non lo conosceva affatto. Dentro la sua cassa di legno, sotto il suo grande occhio, zio Alfonso non sapeva affatto come funzionasse quell’orologio e quale fosse la ragione e il movimento di tutte quelle rotelline.
Fu per questo che il giorno il cui la pendola iniziò a perdere colpi, zio Alfonso non se ne accorse neanche. Prima perse un minuto o due; poi iniziò ad anticipare, forse perché si era resa conto di essere in ritardo; da quel giorno in avanti, la pendola perse il senso del tempo e iniziò a fare Ding, in qualsiasi momento del giorno, ne avesse voglia. Zio Alfonso se ne accorse dopo almeno una settimana o due. Sentì un Ding dietro l’altro, ma siccome non ci voleva credere, pensò di essersi sbagliato. Ma quando la pendola suonò 15 Ding in un minuto, lo zio Alfonso capì che c’era qualcosa che non andava. Lasciò quello che stava facendo e aprì la pancia della pendola. Dentro c’era un centinaio di rotelline che giravano veloci in tutte le direzioni. “Ehi,” disse lo zio Alfonso. “Ma qui va tutto bene… Perché mai la pendola funziona tanto male.”
“Senti un po’..,” si sentì apostrofare lo zio Alfonso da una grossa nera. “Di che colore siamo noi rotelle, secondo te?”
“Ehmm. Siete nere. Giusto?” Chiese conferma zio Alfonso.
“Siamo diventate nere. Noi dovremo essere di un bel colore oro, come tutte le rotelle di ottone.”
“E perché siete nere?”
“Buona domanda: perché da quando siamo qui, nessuno ci ha mai pulite. Non sai che i denti vanno lavati?”
“I denti? Certo – La mamma mi diceva sempre di lavarli. Ma ce c'entrano i denti con gli orologi?”
“Ma come? Non sai che le rotelle degli orologi sono dentate?? E quei denti (come i tuoi) vanno puliti: le rotelle – per fare il loro lavoro – devono avere denti lavati. Solo così la pendola funziona e non sbaglia..”
E da quel momento lo zio Alfonso si lava i denti tutte le sere – e poi li lava anche alle rotelle della pendola.