PIANGERE MI PIACE, MA...

Ci sono bambini (o momenti nella vita di alcuni bambini) in cui sento il bisogno di piangere. Si abbandonano alla tristezza traendone un piacere dolce. Sebbene possa non essere un comportamento da sostenere, è giusto lasciare che accada, senza rimproveri, strilli: senza il bisogno di dover essere sempre allegri e festosi..

Papà dice che sono una lagnona, ma non è vero.

È solo che mi piace piangere.

Ogni tanto – quando sono triste o molto stanca – mi siedo in un cantuccio e piango. Qualche lacrimuccia calda mi scende lungo guance e arriva fino alle labbra. Io le assaggio ogni volta, perché mi piace quel gusto salato che mi ricorda il mare.

Resto lì un po’ e penso a tante cose tristi e le lacrime scendono, come gocce di pioggia.

All’inizio mamma e papà mi correvano vicino, per vedere cosa avevo e perché piangevo. In tutti i modi di consolarmi perché smettessi di piangere.

Col tempo hanno capito che non era una cosa grave e che ci sono bambini a cui piace piangere.

Allora – quando succede – mamma e papà mi lasciano stare e parlano tra loro a bassa voce.

Poi, quando le mie lacrime sono finite, papà si siede vicino a me.

“Va meglio adesso?” mi chiede.

Io dico di sì e sto bene, fino alla prossima volta.

EMMA NON VUOLE ANDARE A SCUOLA

E' stanco, svogliato, fa i capricci e questa mattina non vuole proprio andare a scuola? sarebbe bello lasciarlo a casa, ma è un passo pericoloso. Facciamoglielo dire dalla piccola Emma, protagonista di questa storia..


Questa mattina Emma si è svegliata “storta”. Piange, urla: fa i capricci.
“Insomma Emma,” chiede la mamma innervosita da tutto quel piangere. “Che cosa hai stamattina?”

“Ho che non voglio andare a scuola. Voglio restare a casa, sotto le coperte: voglio dormire tutta la mattina e poi giocare con le mie bambole e per finire ascoltare le mie favole sonore.”

“Non si può: questo è chiaro!” Urla il babbo. “A scuola si va: ognuno deve compiere il suo dovere!”
Emma si gira dall’altra parte: non vuole stare neanche a sentirlo. E mentre si trova con la faccia al muro, vede che in un angolino della parete c’è un piccolo ragno seduto proprio in mezzo alla sua tela.

“Pss… “ la chiama il ragno. “Emma.. Vieni qui vicino… Ti devo parlare…”
“Che c’è?” Chiede la bambina.
“Dammi retta: è molto meglio se ti vesti veloce e vai a scuola.”
“Perché mai? Io non ho nessuna voglia di andarci.”

“È successo anche a me quando avevo la tua età: non avevo voglia di andare in classe, con i miei compagni, né di fare i compiti o di incontrare le maestre. Così la mia mamma mi ha tenuto a casa. Un giorno ho dormito fino a tardi: il giorno dopo ho disegnato e il terzo giorno ho ascoltato le fiabe ragnesche.”
“E poi?”
“Poi ho iniziato ad annoiarmi: allora ho tirato i fili della ragnatela, poi l’ho spolverata e alla fine mi sono messo a lucidarla.”
“E adesso?”
“Adesso passo le mie giornate su questa piccola ragnatela: la pulisco e la lucido; ma mi annoio tanto.”
“Perché non esci?”
“Dove posso andare? Non ho più amici e non so fare niente altro che pulire questa ragnatela.”

Accidenti! Pensa Emma – davvero una brutta fine. Si vestì in fretta e corse in cucina.
La mamma la guardò stupita: “Hai cambiato idea?”
“Si, devo correre a scuola.”
“Bene,” rispose la mamma. “Che cosa è cambiato?”
“Ho deciso che diventerò maestra e aprirò una scuola per ragni.”
“Molto interessante,” disse la mamma. “Vuoi insegnare loro a leggere e a scrivere?”
“Non solo,” ribatté Emma. “Voglio aiutarli a trovare una strada per lasciare la loro ragnatela.”

STORIA DEL GATTO CHE SI MANGIAVA LE UNGHIE

Può capitare che il nostro cucciolo si senta sotto pressione e abbia paura di non essere all'altezza. Invece di dirlo, potrebbe mangiarsi le unghie: è un modo di affrontare l'ansia, senza esprimerla. Non dobbiamo farne una tragedia perché sarebbe peggio, ma cercare id rassicurarlo sul bene che gli vogliamo allentando il suo bisogno di fare sempre la cosa giusta. 

l gatto Gennaro è molto nervoso e ha sempre paura di sbagliare.
Quando è a scuola ha paura che la maestra lo interroghi e gli chieda le tabelline; se è a casa ha paura che il babbo lo sgridi perché la sua camera è sempre in disordine o la mamma lo riprenda perché non si è pulito le orecchie. E se va da un amico a giocare, ha paura di gridare troppo forte o di far cadere qualcosa correndo.
Per questo si mangia sempre le unghie.

La cosa lo rende buffo perché tiene sempre le zampe vicino al muso e le rosicchia come se fosse un biscotto o una crosta di formaggio.
“Gatto Gennaro,” lo chiama la maestra. “Hai studiato le regioni di Italia?”

“Miaooo,” risponde Gennaro e subito si mangia un’unghia.

“Gennaro hai messo a posto la cartella?” domanda il papà
“Miaooo,” risponde Gennaro e si mangia un’altra unghia.
“Gennarino, hai lavato i denti e il pelo?” vuol sapere la mamma.

“Miaooo,” risponde Gennaro e un’altra unghia viene morsicata.

Alla fine della settimana, il gatto Gennaro non può più salire sugli alberi come i suoi amici, perché sue unghie sono troppo corte e fragili. E così – mentre tutti giocano ad arrampicarsi – lui resta in cortile a camminare con i cani e le papere.
Per fortuna la sua padroncina Liliana lo osserva dal cortile della sua scuola. Quella sera lo coccola con tenerezza. “Povero Gennaro ho visto che ti mangi le unghie, ma non capisci che se vai avanti così non potrai mai arrampicarti sugli alberi!”
“Miaooo,” risponde Gennaro.

“Non preoccuparti di tabelline e stanze ordinate e orecchie pulite… Pensa che sei un cucciolo di gatto che deve avere unghie lunghe e salire su tutti gli alberi.. ma se ascolti la maestra e ubbidisci a mamma e papà, non hai ragione di essere tanto nervoso e di aver paura di sbagliare.

OGNUNO HA IL SUO LAVORO

Non ha voglia di fare i compiti, di mettere in ordine la sua stanza, oppure di andare a scuola? Eppure ciascuno di noi ha un compito da portare avanti. Nessuno escluso, neanche i bambini.
Forse una favola basta per aiutalo a capire...


L’altro giorno la mamma mi ha mandata in giardino a raccogliere le foglie; dopo pochi minuti però, mi sono stancata e mi sono seduta per terra.

“Ciao,” ho detto ad una libellula che passava di lì. “Che fai?”

“Volo allo stagno a fare rifornimenti: la mia mamma ha bisogno di una goccia per cucinare.”

“E perché non ti siedi qui con me e chiacchieri un po’ con me?”

“Non posso: oggi abbiamo tanti ospiti che vengono a pranzo da noi. Poi se vuoi torno a trovarti.”

“Ciao,” ho detto poi ad un grillo che saltava tra l’erba. “Che fai?”
“Mi alleno per le prossime olimpiadi dei grilli.”

“E perché non ti siedi qui con me e mi fai compagnia?”

“Devo fare ancora 25 mila salti, perché vogli partecipare alla gara e arrivare primo.”

“Ciao,” ho detto allora ad una bellissima farfalla volante che passava di lì. “Che fai?”

“Volo leggera da un fiore all’altro.”

“E perché non ti siedi qui con me e ti riposi in po’?”

“Perché ho un compito importante: devo insegnare a tutti i fiori i nomi dei colori che sono riportati sulle mie belle ali.”

“Ma io mi sento sola!” ho detto. “Perché nessuno si occupa di me?”

La mamma che passava di lì mi ha sentito.

“Hai già finito di raccogliere le foglie?”

“Non ne ho voglia,” ho detto io.

“Pensa che accadrebbe se tutti dicessimo così: se la libellula non portasse l’acqua alla sua mamma che cucina per gli invitati; se il grillo non avesse voglia di allenarsi e non fosse bravo a saltare; se la farfalla non insegnasse ai fiori i nomi dei colori più belli. E se io non mi occupassi più di te.”

La mamma ha ragione, ho pensato e mi sono messa a raccogliere tutte le foglie che stavano a terra.
Poi sono entrata in casa e mi sono fatta preparare una gustosissima merenda.