LA DOCCIA NO: NON ME LA FACCIO!

Bruciano gli occhi.
L'acqua è troppo fredda; anzi troppo calda.
Adesso non mi va... Voglio giocare

Ogni volta c'è una buona scusa per evitare di mettersi sotto la doccia. A meno di trovare una buona scusa, un modo originale, di trasformare la doccia in un gioco divertente..


Nino, il pesciolino rosso che abita nella grande fontana dei giardini pubblici è davvero arrabbiato.
Ogni sera, prima di andare a dormire, la sua mamma lo obbliga a nuotare proprio nel centro della vasca, dove ci sono tanti schizzi e lui possa fare una bella doccia. La mamma porta anche il sapone e lo shampoo e cerca di insaponargli le pinne, mentre Nino si dimena e nuota più veloce che può.

Che scocciatura, pensa Nino: il sapone gli entra negli occhio e lui urla e piange.
Possibile che ogni sera sia sempre la stessa storia? Cos’è questa storia di doversi continuamente lavare?

Stasera però mamma e papà escono e Nino resta a casa con il nonno. “Ti sei fatto la doccia, Nino?” gli chiede il nonno.

“Beh, veramente… io..” balbetta Nino che non sa che dire.

“Non piace neanche a te fare la doccia?” chiede il Nonno.

“No, non mi piace neanche un po’! Io la odio la doccia!”

“E perché?” chiede il nonno.

“Perché mi entrano le gocce negli occhi, e anche il sapone… e poi è l’acqua è fredda.”
“Hai ragione,” dice Nonno. “Te lo dico in un orecchio: anche io odio fare la doccia. Ma ho un segreto”, e lo porta in soffitta dove trovano una vecchia scatola di cartone, dove è conservata una maschera da sub.
Nino la infila, ma vivendo dentro la fontana si riempie tutta d’acqua.
“E adesso?” chiede il pesciolino al nonno che nel frattempo ha inforcato un paio di occhialoni da sci.
“Adesso corriamo a sfidare la fontana."

E così, uno dietro l’altro, nonno e nipote si lanciano in mezzo agli schizzi della fontana.

“Improvvisamente mi piace fare la doccia.” Dice Nino. Adesso gli schizzo e il sapone non gli danno più fastidio e giocare con il nonno è proprio divertente.

 

LA MIA AMICA E' UN TESORO PREZIOSO

L'amicizia è un valore prezioso. Spesso i bambini si legano affettuosamente, ma poi - magari davanti alla pressione degli amici, oppure per piccoli problemi o incomprensioni, sono pronti a risolvere un legame, dimenticare un'amicizia, e farsi trascinare altrove.

Solo con il tempo arriveranno a capire l'importanza dell'amicizia. Aiutarli a ragionare sull'importanza delle persone e dei legami, anche in  tenera età, è uno dei difficili compiti degli adulti di riferimento.

Un gabbiano di nome Ottavio e una piccola coccinella di nome Rossella erano diventati migliori amici.
Sin da quando erano molto piccoli si incontravano sugli scogli: il gabbiano si sedeva al sole e osservava l’acqua, in cerca di pesci. La coccinella amava passeggiare e camminava sui grossi sassi. Lì si erano conosciuti e lì si ritrovavano a giocare tutti i giorni.

Questo almeno fino a quando altri gabbiani cominciarono a posarsi sul molo. Gabbiano giovani, vecchi, grandi, grassi e mingherlini. All’inizio non ci fecero caso, ma non appena si accorsero che Ottavio parlava con una coccinella, iniziarono a prenderlo in giro.
“Come sei buffo,” gli dicevano. “Un uccello grande ed elegante come te, che perde tempo con una piccola coccinella.”
“Tu sei molto più forte di lei, potresti schiacciarla con una zampa sola.” Così Ottavio, anche se dispiaciuto, iniziò a sentirsi in imbarazzo insieme a Rossella e quando la vedeva arrivare, si spostava: volava in mezzo al gruppo di Gabbiani e rideva e giocava con loro.

Rossella si sentiva triste senza Ottavio, ma che poteva farci? Lui non aveva più voglia di stare con lei.
 
Così pian piano smise di passare tra gli scogli e si abituò a passeggiare altrove, tra gli alberi della pineta, dove Ottavio non veniva mai.

Passarono i giorni, fin quando – una bella mattina d' esare – Rossella sentì tra gli alberi il grido di un gabbiano. Alzò la testa. “Che ci fai qui Ottavio?”

“Sono venuto a cercarti, Rossella. È tanto tempo che non ti vedo.”

“Non vengo più sugli scogli, perché tu non vuoi più stare con me.”

“Non è vero Rossella.. è solo che.. è solo che.. mi piace stare con i miei amici gabbiani.”

“E allora perché sei venuto fin qui?”

“Mi manchi. Io con i gabbiani gioco e rido e mi diverto: ma mi piace anche parlare con te, che mi ascolti e mi capisci.”

“Ma i tuoi amici non mi vogliono.”

“Ma io si: torna a trovarmi agli scogli, Rossella. Sei la mia amica preziosa.”

 

QUANDO GIACOMINO SCOPRI' CHE E' IMPORTANTE SALUTARE

Per timidezza, per pigrizia o solo per farci un dispetto, spesso i bambini non salutano gli adulti che incontrano. Siamo d'accordo non è grave. E tuttavia è sempre uno dei modi per insegnare loro la buona educazione. Forse la tribù dei Salutoni potrebbe riuscirci....

Qualcuno di voi ha mai sentito parlare della Tribù dei Salutoni?

No??? Possibile?? Eh sì che sono una popolazione molto diffusa; ci sono i Ciao, i Buon-Giorno, i Buona-Notte, i Salve e perfino i Buona-Sera. Dovreste averli incontrati almeno una volta nella vita. Comunque sia: i Salutoni sono personaggi molto discreti, gentili e soprattutto girovaghi. Non amano stare a casa a guardare la TV, ma si muovono spesso e viaggiano in tutto il mondo. Il Signor Buon-Giorno, per esempio, ha fatto 10 volte il giro del globo, sempre passando dall’equatore e il Signor Ciao è stato in tutti i Paesi conosciuti e anche in quelli sconosciuti, perché non c’è mai stato nessuno.

Bella vita, direte voi. Certamente sì, però pensate che anche i Signori Salutoni una volta hanno avuto un grave problema. C’era un bambino timido, un tal Giacomino che si vergognava sempre a salutare. Come incontrava qualcuno, abbassava lo sguardo a terra e faceva finta di non aver visto nessuno. “Pazienza”, pensava la persona che Giacomino si trovava davanti. “Pazienza”, penserete anche voi.

Facile per voi, che avete le gambe e potete andarvene in giro, ma i poveri signori Salutoni restavano tutti in gola a Giacomino che non li lasciava mai uscire e così non andavano mai da nessuna parte. Un giorno così, due giorni così, tre giorni così… alla fine tutti quei Signori Salutoni chiusi in gola non ci volevano stare. “Forza Giacomino,” gli sussurravano in un orecchio. “Saluta la signora Maria Rosa che abita al secondo piano ed è sempre gentile. Saluta almeno il suo pappagallo.”

Ma lui niente: abbassava lo sguardo e tirava dritto. Così un brutto giorno, quando proprio non ce la facevano più, i Signori Salutoni fecero una riunione. “Giacomino non ci da retta: l’unica cosa che ci resta da fare è metterci a saltare tutti insieme.” E così fecero.

Tutto d’un tratto Giacomino si sentì la pancia che saltava di qui e di là. “Mi viene da vomitare,” disse alla mamma, che lo stava accompagnando a nuoto.

“Giacomino, fai il bravo: non trovare scuse perché non hai voglia di entrare in piscina.”

“Noo…. Ma …io.. Giorno.. Buon-giorno, buona-sera, Arrivederci, Addio… “ e si mise a vomitare saluti a tutti quelli che passavano: alla signora con il cane (e anche al cane), al giornalaio, al guidatore del tram, al fattorino; perfino al vigile che dirigeva il traffico e che voleva fare la multa a tutti. La sua catena di saluti sembrava non finire mai e la mamma lo guardava con gli occhi strabuzzati.

Giacomino salutò tutti per 4 ore e mezzo. Alla fine, stanco da morire, si sdraiò sul marciapiede. I signori Salutoni, tutto intorno a lui, lo guardavano soddisfatti. “Ciao Giacomino, grazie di averci lascato andare.”

“Ma come, ma io..”

“E non dimenticarti: la prossima volta non ci accumulare tutti nella gola, altrimenti finisce che dobbiamo saltarti di nuovo nella pancia.”

“Me ne ricorderò,” disse Giacomino e lo pensava davvero, E lo sapete che fece da quel giorno? Salutò tutti non una, ma tre volte, nel dubbio che un signor Salutone gli rimanesse nella pancia.

IL BUIO E' PIU' FIFONE DI TE

Ha paura del buio? Nulla di strano: tutti i bambini attraversano questa fase. L'importante forse è aiutarli a capire che il buio non solo non è pericoloso, ma basta poco per farlo scappare. E allora non è più possibile averne paura...

C’era una volta, tanti e tanti anni fa’ in una bella casa di campagna, un cappello di lana appeso all’ultimo gancio di un attaccapanni. Era una di quelle papaline di maglia che si calano sulla testa quando fa molto freddo; era stato appeso e dimenticato lì durante l’estate e lì era rimasto, non so più da quanto tempo.

In gioventù era stato il cappello preferito di un famoso brigante della zona: il bandito Petacchia, temuto da tutti. Poi – vivendo una vita così avventurosa era stato perso, recuperato, rapito, perso di nuovo e alla fine – si era ritrovato (chissà come, chissà perché) su quell’attaccapanni.
Dapprincipio (occorre dirlo) il cappello era stato piuttosto contento della sua sistemazione. Aveva dormito della grossa per qualche anno, perché i cappelli quando stanno in servizio, sempre tesi e pronti sulla testa di qualcuno, non possono chiudere occhio. Figuratevi poi il cappello di un pericoloso bandito, che guidava addirittura un gruppo di briganti: aveva condotto una vita avventurosa ma molto, molto stancante.  Da quando era rimasto appeso e dimenticato, se l’era presa comoda e cercava in tutti i modi di recuperare la stanchezza accumulata.

Dopo gli anni del sonno profondo, erano arrivati anni in cui aveva appena sonnecchiato. All’inizio i suoi sogni erano ancora abbastanza avventurosi; poi però, man mano che il tempo passava e lui recuperava le forze, il sonno si faceva sempre più leggero. Così una mattina annoiato dal lungo far nulla, fece un’operazione audace: si aggrappò ad una mantella per la pioggia e si lasciò scivolare a terra.
“Qui mi vedranno di certo” pensò. E aveva ragione: la vecchia Maria, la governante, lo vide a terra e non sapendo dove metterlo, lo chiuse in un cassetto della credenza.
Il cappello – che  non si aspettava certo di fare quella fine – si ritrovò più solo di prima, chiuso nel buio del cassetto.

Oh mamma mia.. che paura! Neanche in testa al brigante Petacchia si era mai trovato in una situazione tanto orribile. In quel cassetto c’era un silenzio di tomba e il buio che sembrava voler coprire tutto: per quanto il cappello sforzasse i suoi piccoli occhi, non riusciva a distinguere chi o che cosa ci fosse intorno a lui.
Così cercò di ricordare da che parte fosse l’apertura, puntò i suoi piccoli piedi lanosi e spingendo con tutte le sue forze, riuscì pian piano ad aprire di pochi millimetri il cassetto: una minuscola fessura.  Si trattava di uno spazio piccolissimo, è vero, attraverso il quale non sarebbe mai riuscito a passare, ma appena l’ebbe aperto un sottile raggio di luce, magro come un filo di lana, si infilò veloce in quel cassetto.

“Ciao,” gli disse il cappello incantato da quel filo luminoso. “Che velocità! Eri qui fuori ad aspettare?”
“Ciao a te,” disse la luce che entrava nel cassetto. “Non hai mai sentito parlare della velocità della luce? Mi muovo sempre così, quando vado a caccia.” 

“A caccia di che?” chiese il cappello.
“Ma di buio naturalmente. E mi pare che tu ne abbia una bella scorta qui dentro...”

Dovete sapere che i raggi di luce vanno matti per il buio, ma non riescono mai a prenderlo perché – appena si avvicinano – il buio scappa.
“Oh, sì.” Rispose il capello. “Qui è pieno di buio, ma lo trovo talmente noioso: copre i colori e le forme e non c’è mai niente da vedere.”
“E magari ti fa venire anche un po’ di paura?”
“Paura a me? Ma neanche per sogno…” si infuriò il cappello. “Io sono stato in testa al bandito più feroce della regione. Hai mai sentito parlare del Brigante Petacchia?”
“Lasciamo perdere,” disse il raggio luminoso. “Comunque non devi aver paura del buio perché lui è un gran fifone. Ti faccio vedere,” e con una mossa rapida, il filo di luce saltò dentro al cassetto.
“Uaahhh,” urlò il buio in quell’istante scappando di qui e di là, lungo le pareti del cassetto o nascondendosi sotto i piccoli oggetti, in cerca di riparo.

“Vedi come scappa?” disse ridendo il filo di luce. “Il buio ha paura dei colori e delle forme. Per questo cerca di coprirli e di nasconderli. Che vedi adesso?”
Il cappello si sforzò di vedere qualcosa illuminata dal filo di luce: “Laggiù vedo una piuma bianca, magari è il copricapo di un guerriero indiano.”
“E poi?”
“Oh, ecco: là vedo una moneta color argento, con tante lettere e numeri incisi sopra.”
“Bravo,” fece il raggio di luce e saltò altrove. Subito il buio scappò via e il cappello vide una sciarpa azzurra, con lunghe frange blu… “Come è bella,” disse il cappello affascinato.
“E poi?”
Il cappello vide una pipa verde e nera, fatto di legno inciso a mano, un tappo di sughero tutto bucherellato e un foglio di carta, ingiallito dal tempo, su cui era scritto qualcosa con un inchiostro viola e in fondo, un piccolo bottone rosso.

In quel momento, passando vicino al mobile, la vecchia Maria si rese conto che il cassetto era chiuso male; con un movimento deciso lo spinse al suo posto, chiudendolo del tutto. E il raggio di luce? Era rimasto dentro, insieme al buio, al cappello, al tappo e ai mille tesori che abitavano in quel vecchio cassetto.