CHI VA PIANO VA LONTANO (E IMPARA MOLTISSIME COSE)

Intrappolati - come gli adulti - nei ritmi frenetici della vita moderna, il comportamento dei bambini è spesso il tutto e subito. Cosa possiamo dire loro per aiutarli a capire che le cose fatte lentamente sono più apprezzabili e belle da assaporare?


Ogni volta che viene in campagna a trovare in nonni, Paride si annoia.

Qui non c’è mai niente da fare: niente televisione, nessun canale digitale, niente playstation e neppure una sala giochi.
Lui resta in casa a guardare il muro bianco della sala da pranzo.

“Che faccio?” Chiedeva alla nonna e quando lei rispondeva: “Vai nell’orto. Raccogli i pomodori. Aiuta il nonno a seminare il basilico.” Oppure “Dai da mangiare alle galline.” lui rispondeva sempre: “Mi annoio!”
Per fortuna la sera si riparte e Paride torna in città, nella sua casa moderna e piena di tecnologia.

Quest’anno però i genitori di Paride devono passare un periodo all’ospedale e lasceranno il bambino dalla nonna. “Un mese INTERO?? Io non ci voglio andare: mi annoio!”
“Mi spiace, tesoro,” lo consola mamma, ma la decisione ormai è presa. Paride arriva dai nonni con la sua faccia più imbronciata. “Che faccio?” Chiede, prima ancora di salutare.

“Sei fortunato, Paride,” gli dice il nonno. “Il mago della Campagna dice che stanotte è passata la fata Primavera: vai a vedere se ha lasciato qualcosa.”
Paride esce in giardino, ma non vede nulla. Gironzola, si siede sul prato e inizia a pensare alla scuola, ai suoi amici, ai giochi che potrebbero fare in questo momento.

“Paride,” lo chiama nonno dalla finestra. “Cosa hai trovato?” Paride si alza e riprende a gironzolare, ma non vede nulla. Così torna a casa. “Il tuo mago si è sbagliato. Qui non c’è niente.” Allora il nonno esce di casa, lo prende per mano. “Vieni con me,” dice e lo porta nel prato. “Guarda,” e indica una macchia bianca: “Sono campanule, arrivano con la prima vera e là cosa vedi?” e indica una distesa di margherite. “Sono bellissime,” dice Paride: “portiamone un mazzetto alla nonna.” E poco più avanti c’è una grande ginestra. “Cosa vedi sui rami?” Chiede il nonno.
“Ci sono dei bottoncini verdi.”
E in ogni anglo in cui guardano trovano nuove foglie e piccoli fiori. “E le farfalle? Le hai viste?” Paride non si ricorda. Allora lui e il nonno si mettono a cercarle: lì ce n’è una, lì un’altra. E poi ci sono le api che girano da una parte all’altra. Il nonno dice a Paride di chiudere gli occhi ed ecco che si sentono cantare gli uccellini: prima uno, poi un altro gli risponde. “Sembra un coro,” dice Paride. Adesso ho capito cosa ha lasciato la primavera.”
“Non avere fretta,” dice nonno… “Che profumi senti?” Paride sente l’odore della menta e quello dell’erba tagliata.. e anche il sugo di nonna. “Ma questo non l’ha portato la primavera” dice Paride. “Questo no, ma è importante sapere vedere e saper ascoltare e puoi farlo solo se non hai fretta e se sai aspettare.”

TUTTE LE FAMIGLIE SONO DIVERSE

Nella società in cui viviamo, il tema della differenza non può sorprenderci o spaventarci. Al contrario dobbiamo essere capaci di valorizzare le differenze, a partire da quelle presenti nelle organizzazioni familiari: non c'è una famiglia uguale all'altra, così come non c'è un bambino uguale all'altro. E' questo che ci rende unici e speciali


Una volta, tanti anni fà, nello stesso cestino del pranzo erano finiti una mela, una banana e un morbido panino bianco. E mentre viaggiavano – stretti stretti – presero a ragionare tra loro.

“Io vengo da una famiglia nobile e molto antica,” raccontò la mela. “Il mio bis-nonno era l’albero di melo più alto e più forte di tutto il giardino . Da lui nacque mia nonna, la mela più rossa e più bella di tutte. Quando fu in età da marito, si tuffò nella terra del giardino e da quell’incontro nacque un seme che nella terra fece nascere la mia famiglia: i miei genitori misero radici profonde e su quelle radici crebbe un tronco largo e ben piantato.

Col tempo, su quel tronco crebbero rami forti e su quei rami spuntarono tanti fratelli foglie e tante sorelle mele. E voi, da che famiglia venite?”

La banana rispose subito. “La mia famiglia vive lontano da qui, in un paese caldo e meraviglioso, dove vivono animali forti e pericolosi come i leoni e i coccodrilli.

Nel mio paese le famiglie fanno tanti figli che crescono tutti vicini, da un unico albero di banane. Io e i miei fratelli siamo talmente simili che il nostro papà – un albero di banano – fatica a riconoscerci.”

Il panino ascoltava in silenzio e provava un po’ di invidia pensando a come sarebbe stato bello avere una famiglia dove tutti erano simili e venivano dallo stesso posto.

“E tu?” chiese la mela curiosa; “raccontaci qualcosa della tua famiglia.”

“Il mio nonno è un mulino,” disse il pane. “Fatto di pietre forti e compatte che vengono da una cava profonda. Mia nonna è un corso d’acqua che si è allontanato dal letto del fiume per sposare mio nonno e stagli vicino. Mia madre è una ruota di legno pregiato che non sta mai ferma perché ama ballare con mio padre che è una grossa ruota di pietra.”

La mela e la banana ascoltavano in silenzio.

“Un bel giorno io e mio fratello siamo volati fin qui, dai campi di grano della Polonia: avevamo  voglia di una nuova avventura e quando abbiamo visto l’acqua del fiume e quel grande mulino, abbiamo deciso di fermarci. E il mulino, la ruota, il fiume e la mola ci hanno offerto rifugio e con loro abbiamo fatto la farina e gli impasti per cuocere un pane buono e speciale come questo.

 La mela e la banana ascoltavano le parole del panino a bocca aperta e anche loro si sentivano un po’ invidiose: quanto sarebbe piaciuto a loro avere una famiglia fatta di persone tutte diverse, ognuna che veniva da un angolo del mondo.

“Ogni famiglia è speciale e diversa da tutte le altre,” disse il tovagliolo che era stato in silenzio fino ad allora. Poi chiuse gli occhi e si addormentò.

QUANDO MUORE QUALCUNO...

Affrontare con i bambini il tema della morte risulta difficile: per come è sviluppato il loro pensiero, non riesce a comprendere astrazioni o ad immaginare quello che non vede. Eppure la morte non è che la rappresentazione della mancanza, qualcosa che i bambini conoscono fin da piccoli e con cui imparano presto a confrontarsi.
La favola offre un possibile modo di comprendere quello che altrimenti è impossibile pensare

In fondo al frutteto di nonno Fausto, proprio vicino ai rovi di more, c’è una grande quercia, con tantissime foglie lucide e verdi che ballano e cantano quando passa il vento. E tra quelle foglie, seduti sui rami, ci sono tanti uccelli diversi: cinciallegre, passeri, upupe, merli, cornacchie, gufi, allodole e tordo. Ognuno ha il suo carattere e le sue abitudini, ma tutti si vogliono bene e si sentono una sola famiglia.

Pensate che al tramonto amano mangiare tutti insieme, ai piedi della grande quercia: chi porta un bruco, chi una bacca, chi porta un insetto saporito che ha catturato quel giorno. È una vera famiglia e la sera, quando arriva il buio, si sistemano nei loro nidi e aspettano il vecchio Barbagianni che dia a tutti la buona notte. Eh, si: il barbagianni è il più vecchio di tutti e abita in quest’albero, molto prima che arrivassero tutti gli altri. Lui li ha accolti e ospitati e ha assegnato a ciascuno il posto in cui fare il nido. È una specie di nonno per tutti loro. E quando la notte avanza, e gli uccellini più piccoli si riparano sotto le ali delle loro mamme e dei loro papà, il vecchio barbagianni con la sua voce roca racconta favole bellissime e tutti stanno zitti per ascoltarle meglio. E sul suono di quelle parole, si lasciano trasportare dal sonno, fin quando si addormentano.

Un brutto giorno però, il nonno Barbagianni si sente stanco e non ha forze per alzarsi dal suo nido, né per raccontare una storia. Gli uccelli più piccoli sono tristi, ma le mamme li portano nel loro nido e gli spiegano che devono fare i bravi e non fare i capricci.
La mattina dopo il merlo chiama tutti gli uccelli della quercia per spigare loro che il nonno Barbagianni è volato via oltre le nuvole del cielo e che non tornerà più. Tutti si sentono tristi e increduli. “Come è possibile? Non torna più? E a chi racconterà le sue bellissime storie adesso”, chiedono i passeri e le cinciallegre? Le racconterà agli uccelli che abitano in alto, nel cielo, sopra le nuvole.

Ma un piccolo tordo non si da per vinto e osserva il cielo e con i suoi piccoli occhi acuti cerca di guardare dentro le grasse nuvole bianche. “Eccolo, lo vedo.” Grida. “Ecco il nonno Barbagianni,” e  tutti si affacciano sui rami della quercia per vedere. Una grande nuvola bianca che passa ha proprio il profilo di nonno Barbagianni: è proprio lui e li saluta con l’ala. Adesso il piccolo tordo è contento. Quando avrà voglia di vedere nonno Barbagianni, potrà cercarlo tra le nuvole le cielo.

COSA VUOLE UNA MAMMA?

Capita di dover raccontare una favola ai propri bambini per aiutarli a capire che anche le mamme hanno sogni e desideri e che il loro lavoro non ha solo l'obiettivo di vestirli, lavarli e nutrirli.

Spesso il lavoro delle mamme serve a costruire una bella famiglia, sana e felice... e l'aiuto di tutti può essere molto importante

C’era una volta una ragazza da cuore grande e gli occhi pieni di sogni, che nella vita voleva costruire una famiglia bella, forte e unita.

Si mise in cercò un marito davvero speciale e quando l’ebbe trovato partirono insieme per andare a pescare i figli più belli del mondo. Cammina, cammina, alla fine del percorso li trovarono, ma erano ancora molto piccoli. La ragazza dal cuore grande non si perse d’animo: si rimboccò le maniche, li curò, li coccolò, li accudì fino a farli crescere grandi e forti come li voleva lei.

Poi un giorno si ritrovarono tutti a tavola insieme. Finalmente, pensò la ragazza dal cuore grande: adesso il mio sogno è finalmente esaudito. Adesso parleremo insieme e ci conosceremo e io imparerò da loro e loro da me.

Ma per quanto parlassero non si capivano. Ognuno parlava una lingua diversa da quella di tutti gli altri, e nessuno capiva quello che gli altri dicevano.

Allora la ragazza dal cuore grande si fece venire una nuova idea. Smise di parlare e inventò una lingua solo per loro, fatta di silenzi e di gesti, di cinema, di libri e di favole.

Ma non parlò più la lingua che nessuno capiva.

E il suo marito speciale e i suoi figli più belli del mondo si fermarono a guardarla.

E quando capirono che cosa stava facendo, si misero insieme a lei ad inventare una lingua nuova, solo per loro.

E se li incontrate adesso li riconoscete, perché stanno lavorando per cercare di capirsi.

SCEGLIERSI GLI AMICI "GIUSTI"

Spesso i bambini sono attratti da compagni più grandi e ppiù forti, che vorrebbero emulare.
Quando i genitori - nel tentativo di proteggerli, cercano di spiegare quanto sia importante e delicata questa scelta, spesso non vengono compresi; spesso l'attenzione e l'affetto che sappiamo rivolgere ai nostri piccoli, sono l'insegnamento migliore per far loro capire cosa devono cercare in un rapporto di amicizia


Tonio è il gatto del portinaio, un gatto nero, con il pelo lucido e folto. La sua vita è tranquilla e serena; o almeno lo era fino al giorno in cui, vicino a casa SUA è arrivaTO il circo.

Tonio è curioso: vuole vedere chi ci lavora e che cosa fa. Così si avvicina al tendone e dentro una gabbia vede delle pantere. Sono bellissime, e si muovono eleganti dentro la gabbia. Tonio si avvicina alle sbarre e vorrebbe essere proprio come loro.

“Signore Pantere..” sussurra. Loro però non si girano neanche a guardarlo. “Signore Pantere…”

“Che vuoi?” Gli chiede una di loro, con aria altezzosa.

“Io.. vorrei essere vostro amico..” Le pantere si scambiano uno sguardo beffardo sotto i baffi..

“Ah si?” Dice una di loro. “Allora vai a prenderci qualcosa di buono da mangiare.”

Tonio corre a casa, ma nella sua ciotola c’è solo un po’ di latte; non va certo bene per delle pantere.

Allora si intrufola in cucina: sul tavolo c’è un piatto di prosciutto crudo in bella vista. Tonio ne prende rapido 4 o 5 fette, senza farsi vedere da nessuno e scappa veloce verso il circo.

“Signore Pantere..” e appoggia il prosciutto tra le sbarre. Ma visto vicino alle pantere, quel bottino sembra solo un bocconcino. Una pantera ci passa vicino e senza neanche dire grazie, la divora.

“Che miseria, vergognati. Corri e portane dell’altro.”

Tonio rimane male, ma corre a casa. Il suo padrone è a tavola, seduto davanti al suo piatto di prosciutto.

“Tonio, piccolo mio,” lo saluta e senza aggiungere altro si toglie un pezzettino di prosciutto dal piatto e glielo porge.

“Qualcuno mi ha rubato il prosciutto dal piatto, ma quello che avanza, ce lo dividiamo io e te.”

Tonio ripensa a quelle altezzose pantere. Ma è proprio sicuro di voler essere loro amico? Tonio si sdraia sulle ginocchia del suo padrone e fa le fusa. E un attimo prima di addormentarsi pensa a quanto è importante scegliersi gli amici.