IL GATTINO CHE RUGGIVA COME UN LEONE


Può capitare che un bambino nasconda la propria timidezza, con l'aggressività. Vorrà stare in disparte, mai al centro dell'attenzione. Adotterà un comportamento "da duro" per proteggersi.

Forse è meglio evitare di forzarlo, ma lasciarlo ai suoi tempi. Chi sarà disposto a comprendere cosa si nasconde dietro all'aggressività, potrà avvicinarsi e lasciarsi avvicinare.

C’era una volta, in un paese di campagna, un gattino nero con gli occhi azzurri: una meraviglia da guardare.

Aveva il pelo morbido e liscio e tutti volevano stargli vicino per accarezzarlo e coccolarlo.

Lui però era così timido che appena qualcuno gli si avvicinava, lui provava tanta paura che si faceva venir fuori un ruggito forte e potente.. RRRROOOARRRRR!!

Tutti quanti, a sentire quel ruggito, scappavano terrorizzati.

Ogni volta, era sempre la stessa storia.. Un bambino voleva accarezzarlo, una mamma voleva fargli una carezza, un papà voleva dargli un’acciuga, ma ... Il gattino veniva preso dalla paura e lanciava un ruggito talmente potente che tutti fuggivano terrorizzati.

Chissà come era contento quel gattino, penserete voi.. Invece no: proprio per niente. Il gattino si sentiva triste e solo, ma non sapeva proprio come fare. Ogni volta che qualcuno lo osservava o voleva stargli vicino, un ruggito gli usciva dalla gola e bastava quello a far scappare tutti.

Poi un giorno incontrò una leonessa che lo trovò bellissimo.

RRRROOOARRRRR!! Le urlò il gattino per spaventarla.

A quel ruggito, la leonessa rispose con un RRRROOOARRRRR!!cento volte più grande.

Al gattino venne da ridere, e anche alla sua nuova amica la leonessa.

“Non hai paura di me?” chiese il micino.

“Certo che no,” rispose la leonessa. “Io capisco il ruggitese.”

“E hai capito cosa ho detto?”

“Certo: hai detto che non sei ancora pronto per essere avvicinato o festeggiato. E che quando sarai pronto, me lo farai sapere tu.”

È proprio così, pensò il micino e disse: “Miao!”

SE LA MAMMA MI FA ARRABBIARE...

Può capitare che un bambino litighi con la sua mamma e si arrabbi con lei.

Ma se un bambino si arrabbia davvero con la sua mamma, che succede? Ci sono bambini che urlano, e altri che restano zitti, perchè non vogliono litigare; pensano che poi la mamma sarebbe dispiaciuta e restano zitti.
E quella rabbia dove va? Aiutiamoli a capire che anche le persone che litigano e si arrabbiano possono continuare a volersi bene.

C’era una volta, nell’armadio delle candele, una candelina rosa che veniva usata ai compleanni, da mettere sulle torte. Si chiamava Dolce e questo nome le stava proprio bene perché era una candelina tenera e tranquilla, che non urlava mai.

Ogni tanto c’erano delle cose che la facevano arrabbiare, come quando un compagno le tirava i capelli o suo fratello le buttava a terra la cartella. Ma Dolce cercava di non prendersela di fare finta di niente. E soprattutto cercava di non urlare quando a farla arrabbiare è proprio la sua mamma.
 
In quei casi Dolce vorrebbe urlare, e dirle che non le va bene qualcosa che la mamma ha fatto; magari piangere anche un po’.

Ma la mamma di Dolce è una candela delicatissima, che viene dalla Cina e se uno alza anche poco poco la voce, la sua fiamma si spegne.

Per questo Dolce non vuole mai arrabbiarsi con lei. E quando la mamma la rende nervosa, lei scappa in un’altra stanza, sfoga la sua rabbia fuori dalla finestra, e quando si è calmata torna di là.

Un giorno che era molto infastidita, Dolce si è allontanata veloce dalla tavola; la mamma però – invece di lasciarla andare come sempre – l’ha seguita nell’altra stanza.

Dolce ha aperto la finestra e ha agitato la sua fiammella nell’aria per sfogarsi.

Quando ha chiuso la finestra e si è girata, si  accorta che la mamma era là che la osservava.

“Ti sei arrabbiata con il vento?” Ha chiesto la mamma.

“Si,” ha risposto Dolce.

“Ma invece eri arrabbiata con me, vero?”

“Si,” ha detto Dolce abbassando la testa e la voce.

Allora la mamma si è tolta il kimono e ha fatto una mossa di karatè, saltando da una parte all’altra della stanza. “Arrabbiati allora, se ne hai il coraggio.” Sembrava una candela Ninjia.

A Dolce veniva da ridere, ma la mamma saltava agile come una pantera.

“Combatti, se hai il coraggio,” ripeteva la mamma. E così Dolce di è messa a ridere e a fare la lotta con la mamma e a dirle tutte le cose che non le piacciono di lei. E ha capito che può farlo, perché la mamma sembrava fragile e pronta a spegnersi, ma non era affatto così. La mamma di Dolce sotto sotto è una vera pantera e se Dolce si arrabbia, la sua mamma davvero non si spegne.


FAVOLA PER IMPARARE A SBAGLIARE

Per crescere e migliorare, dobbiamo imparare a sbagliare: accettare l'errore e il fallimento. Eppure non è un concetto facile da insegnare ai bambini. Dobbiamo chiedere loro di fare al meglio ciò che fanno.. e se sbagliano? Pazienza: accettare l'errore è una lezione ancora più importante

C’era una volta una farfalla bellissima: era talmente bella che si era convinta che tutto quello che faceva dovesse sempre essere perfetto. Faceva bene i compiti, suonava bene il violino, nuotava meglio di tutte le sue compagne e quando si metteva a dipingere faceva dei quadri davvero speciali, che tutti le dicevano quanto erano belli.

“Sono contenta di fare tutto bene,” diceva tra sé quella farfalla, “perché le cose che faccio vengono bene e sono bellissime.”
Inutile dire che tutti erano molto orgogliosi di questa bambina, soprattutto la sua mamma e il suo papà, solo la nonna paterna sembrava preoccupata. Un giorno la chiamò: “Nipotina mia, aiutami a fare una torta!”

“Certo nonna, hai fatto bene a chiamarmi, io faccio delle torte buonissime.”
“Brava,” le disse la nonna. “E chi ti ha insegnato?”

“Nessuno, io faccio bene tutto.”
“Magnifico,” disse la nonna, “Eccoti la ricetta, prova e chiamami quando la tua splendida torta sarà pronta.”

La farfalla provò a cucinare, ma non le venne per niente bene: la torta si bruciò. Lei allora provò ancora, ma la torta era troppo secca, poi troppo dolce, poi troppo alta..
“Non ce la farò mai,” piangeva sconsolata quella bella farfalla, quando la nonna entrò in cucina.

“Ma tesoro,” la consolò la nonna, “non è colpa tua, è solo che ti manca un ingrediente davvero importante.”
“Ma quale: ho qui la farina, le uova, lo zucchero..”

“Tesoro mio, tu non hai la voglia di sbagliare, perché vuoi sempre tutto bello e perfetto. Invece la voglia di sbagliare è molto importante e solo se ne hai tanta riuscirai a fare delle torte buonissime.”

IL PICCOLO GIRASOLE: PER CHI DEVE SEGUIRE UNA CURA

Una malattia seria comporta spesso la necessità di una cura da seguire con attenzione e serietà. Aiutare il bambino a capirne il senso, attraverso una favola, è il modo migliore per averlo "a bordo" e aiutarci ad aiutarlo e a guarirlo, o almeno a rendere meno difficile la cura stessa.

Dietro alla fattoria di nonna Ada c’è un bellissimo campo di girasoli: belli, grandi e gialli. I girasoli sono dei fiori molto simpatici che amano stare insieme e chiacchierare.
Ogni mattina, quando si svegliano, cercano la luce del sole, perché questa li riscalda e li fa sentire bene; e sotto quella luce parlano e giocano, ridono e si fanno perfino gli scherzi.

Un giorno, in mezzo a quei fiori alti e forti, è nato uno piccolino che restava coperto dalle teste gialle dei suoi fratelli.
“Ehi, voi lassù.. spostatevi,” diceva quel piccolo fiore. “Fatemi vedere il sole: ho bisogno anch’io della sua luce per crescere.”
Ma non c’era nulla da fare: quei grandi fiori chiacchieravano tra loro e non sentivano la vocina del piccolo girasole.
Passavano i giorni e il fiore restava all’ombra, ma non riuscendo a ricevere la luce del sole restava sempre piccolo e nascosto in mezzo ai suoi fratelli.
“Come faccio diventare grande, se non riesco a vedere il sole?” si chiedeva quel fiore che voleva crescere e diventare grande come gli altri. Mentre si faceva queste domande, ecco passare un’ape.

“Sei triste, piccolo fiore?” Chiese l’ape.
“Un po’,” disse il girasole. “I miei fratelli sono grandi e ricevono tutta la luce calda del sole che li rende alti e forti; Io invece che sono qui in basso conosco solo l’ombra e resto sempre piccolo.”
“Io posso aiutarti. Ogni mattina posso volare tra i fiori e chiedere a ciascuno di loro di darmi un po’ del calore che raccolgono dal sole; poi la sera scendo da te e te lo porto.”

“Siii…” disse il girasole, contento. “Così potrò crescere anch’io e diventare grande.”
“Esatto, ma….”
“Ma, cosa?” chiese il piccolo Girasole.
“Ma per darti la luce del sole, devo farti una piccolissima puntura con il mio pungiglione..”
“UNA PUNTURA???? No, no…. Non voglio.” Il Girasole voleva scappare via, ma le radici lo tenevano fermo lì.
"Va bene." disse l’ape. "Ma è un vero peccato! Lassù ci sono tante cose belle che da qui non riesci a vedere. Le farfalle, le nuvole .. Potrai sentire la brezza leggera del vento e vedere gli uccellini che da qui senti solo cinguettare."
Il piccolo Girasole ci pensò bene.

“Ma mi farai male con quella puntura?”
“Useremo il trucco delle api: tu conterai fino a 4 e la puntura sarà finita.”
Il piccolo Girasole ci pensò bene. Poi decise di accettare.
L’ape venne a trovarlo tutti i giorni e tutti i giorni gli portò la luce del sole.
Il girasole imparò il trucco delle api e non ebbe più paura.
E sapete adesso dov’è? È cresciuto: è diventato un fiore alto e bellissimo che tutte le mattine guarda il sole insieme ai suoi fratelli.