OGNI FAMIGLIA E’ UN PO’ DIVERSA, MA ANCHE UN PO’ UGUALE A TUTTE LE ALTRE

Come deve essere fatta una famiglia? Alcune hanno due genitori di un colore, e alcuni figli di un altro; altre hano un solo genitore, altre ancora 3 genitori e fratelli grandi e piccoli. E ce ne sono tante altre, tutte diverse.
I bambini a volte fanno fatica a spiegarsi il perchè delle differenze, ma i genitori possono aiutarli a capire che l'unica cosa che tutte le famiglie hanno in comune è il fatto volersi bene.


Una bella domenica mattina soleggiata di marzo, sul bancone di una pasticceria del centro, si incontrarono alcune torte.
Essendo belle, appetitose e molto, molto vanitose – mentre chiacchieravano tra loro, in bella mostra, non facevano che guardarsi e confrontarsi.
“Certamente io sono la più buona di tutte,” disse una crostata con la marmellata di fichi. “Tutti i bambini che si fermano a guardarmi, hanno l’acquolina in bocca.”
“Tu però non afere ciokkolato!” Hli disse di rimando una torta Sacher, con forte accento tedesco.
“E tu, non hai la crema,” fece eco la mille-foglie.
“E come la mettiamo con la meringa… ? Ce l’ho solo io,” aggiunse subito la meringata.
Ognuna di quelle torte voleva avere qualcosa in più delle altre, e per quanto parlassero, discutessero e si confrontassero, non riuscivano a decidere quali erano gli ingredienti migliori per diventare la torta più buona del mondo.

Stavano ancora discutendo, quando passò di lì un bambino.
“Ehi, tu… bambino. Vieni da aiutarci,” lo chiamarono le torte e gli spiegarono il problema.
“Lei ha il cacao,”
“Si, ma io ho la crema..”
“.. E io ho il burro e la marmellata..”
“.. mentre io ho il ripieno di nutella..”
“.. invece io…”
“BASTA!” Le fermò il bambino. “Ognuna di voi è buona a modo suo: non ci sono ingredienti giusti o sbagliati. Ogni torta è fatta di tanti ingredienti ma la cosa davvero importante è che stiano bene tra loro.”
“Giusto,” pensarono le torte, e da quel giorno smisero di litigare.
Ma se glielo chiedete, ogni torta dentro di sé è convinta che i suoi ingredienti siano i migliori del mondo.

L'AQUILONE CHE IMITAVA TUTTI!

I bambini amano osservare i comportamenti di quanti li circondano e spesso finiscono per imitarli. Questo comportamento, fortemente adattativo, perchè consente di imparare cose nuove, potrebbe rivelarsi pericoloso in alcuni casi. Aiutiamoli a capire che è meglio essere prudenti e non spingersi a fare quello che gli altri fanno, senza aver prima chiesto un parere a mamma o a papà

C’era una volta un aquilone rosa a cui piaceva volare nel cielo blu; un piccolo guinzaglio lo aiutava a non perdersi, e a trovare sempre la strada per ritornare a casa sua.

Tutti i giorni il piccolo aquilone rosa usciva volando da casa sua, e tutti i giorni faceva un incontro interessante. Un giorno vide una piccola rondine nera che volava vicino ai tetti.
“Ciao Aquilone, vieni a fare un giro con me?” chiese la rondine.
“Subito,” la seguì l’aquilone. “Anch’io voglio essere una rondine come te,” ma quando la rondine rientrò nel suo nido sotto il tetto, per riposarsi, l’aquilone andò a sbattere contro le tegole e cadde per terra.

Il giorno dopo vide un gabbiano che volava e si tuffava tra le onde a prendere i pesci.
“Ciao Aquilone, vieni a fare un giro con me?” chiese il gabbiano.
“Subito,” lo seguì l’aquilone. “Anch’io voglio essere un gabbiano marino,” ma quando il gabbiano si tuffò tra le onde a pescare un pesce, l’aquilone rosa cadde nel mare e si bagnò tutto.

Un giorno vide un pettirosso che si riposava sui rami di un albero.
“Ciao Aquilone, vieni a fare un giro con me?” chiese il pettirosso.
“Subito,” lo seguì l’aquilone.
“Anch’io voglio essere un pettirosso come te,” ma come si avvicinò all’albero, per sedersi vicino al suo nuovo amico, rimase incastrato tra i suoi rami e a momenti si bucò

Ogni volta la mamma lo andava a prendere.
“Mamma,” piangeva l’aquilone, “perché non posso essere anch’io come la rondine o il gabbiano o il pettirosso?”
“Piccolo aquilone, tu sei come sei, la tua mamma e il tuo papà; non puoi seguire ogni uccellino che passa.” Poi lo prese per mano e lo portò a volare con sé sopra al parco giochi. “Guardate,” urlarono i bambini.. “Guardate che belli quegli aquiloni colorati. Io ne voglio uno rosa,” disse una bambina con le treccine. “E anch’io”, “E anch’io” e il piccolo aquilone pieno di orgoglio guardò la sua mamma e poi agitò la sua lunga coda e volò via.

ANTONINO CHE NON LASCIA IL CIUCCIO

Il ciuccio è un amico importante: da sicurezza oltre che un grande piacere.
Lasciarlo è un modo per prendere le distanze dall'infanzia e dal piacere di chi si rilassa da solo.
Non sempre è il momento giusto e occorre avere pazienza e capire, con il nostro bambino, quando possiamo iniziare un processo di abbandono del ciuccio.

C’era una volta un bambino che si chiamava Antonino e che ogni sera non riusciva a prendere sonno se non si metteva in bocca il suo ciuccio preferito; lo ciucciava e pian piano si addormentava.
Antonino cresceva e diventava grande, lasciava il bavaglino e i pannolini e tutte le sue cose da piccolo, ma il ciuccio quello no, non voleva proprio lasciarlo.
Ogni giorno la mamma gli diceva: “Antonino, lascia il ciuccio, stai diventando grande.” Ma lui faceva finta di non sentirla e lo stesso succedeva quando glielo ripeteva il papà e perfino il nonno Riccardo. Non c’era niente da fare, Antonino il suo ciuccio non voleva proprio lasciarlo.
Da parte sua, il piccolo ciuccio era stanco: aveva fatto molto bene il suo lavoro e adesso voleva andarsene, viaggiare per il mondo, incontrare tanto nuovi amici ciucci e viaggiare con loro. Prima chiese aiuto a Ruffo il cane,, che una notte piano piano arrivò fino al letto di Antonino, per portare via il ciuccio, ma il bambino lo vide e si mise a piangere talmente forte che Ruffo fu costretto tornare indietro e riportargli il ciuccio.
Così una sera, quando ormai non ce la faceva davvero più, il ciuccio decise di parlare ad Antonino: “Amico mio, lasciami andare: io sono diventato troppo grande e ho voglia di viaggiare, di vedere il mondo.”

“Ma come posso fare io?” Chiese Antonino. “Senza di te non mi addormento di sicuro.”
“Mi è venuta un’idea,” disse quel ciuccio intelligente: “Di giorno tu mi lasci andare e io torno ogni sera per raccontarti una storia.”
E così fecero. La mattina il ciuccio si metteva un bel cappello scozzese e usciva, ma tutte le sere, prima che Antonino si addormentasse, il ciuccio tornava a casa e raccontava una storia diversa. Erano tutte favole bellissime, piene di fantasia e di avventura e Antonino adesso non poteva addormentarsi senza che il suo amico gli raccontasse una storia.
Passarono i mesi e un giorno il ciuccio parò di nuovo ad Antonino: “Amico mio, ho viaggiato tutti giorni e adesso ho visto tutti i luoghi che si trovano qui attorno. Ora però devo andare più lontano, per visitare paesi diversi e poterti raccontare storie più nuove e più belle..”
“E io?”
“Tu mi aiuterai. Ho bisogno che mi costruisci di  una barchetta per mettermi in mare e viaggiare in lungo e in largo. Ogni sera consegnerò al vento le mie avventure e la tua mamma te le racconterà.”
“E non tornerai mai più?”
“Tornerò quando avrò visto tutto il mondo che è grandissimo. Ma tu sarai grande allora.”
“Non importa: ti aspetterò.”
Antonino con la sua mamma e il suo papà prepararono una barchetta e poi salutarono il ciuccio che partiva per il suo giro intorno al mondo. E sapete una cosa? Da quel giorno tutte le sere, la mamma di Antonino gli racconta una favola bellissima e il ciuccio non è ancora tornato.

FAVOLA DELLA MARGHERITA E DEL CHICCO DI CAFFE

Il bambino adottato deve poter disporre di una storia che lo aiuti a capire cosa è successo e perchè: una favola che lo aiuti a dare senso e significato alla sua storia, non tanto per parlarne con gli altri, ma per condividere - con la sua nuova famiglia - il senso della loro storia.

Nel prato dietro alla mia scuola, c’è un campo di margherite bianche. Sembrano tutte uguali, ma se le guardi bene ti accorgi che non è vero: ci sono margherite grandi e margherite piccole; margherite papà e margherite mamme, margherite nonne e margherite nonni e poi tantissime margherite cuccioli.
Un giorno, mentre passavo di lì, su di un lato vicino al recinto, ho visto due bellissime margherite che si tenevano strette, Avevano un grande cuore giallo e una corolla di petali bianchi come il latte. Sembrava che stessero parlando tra loro. Allora mi sono avvicinata, per guardare meglio e sapete cosa ho visto?

In mezzo a loro c’era una piccola pianta tenera col suo gambo sottile e una sola fogliolina verde che si agitava per salutarmi. E nascosto sotto alla foglia c’era un bellissimo chicco di caffè.
“Ehi, ma cosa ci fa un chicco di caffè in mezzo ad un campo di margherite?” ho chiesto io che sono curiosa.

Allora Mamma Margherita mi ha sorriso e mi raccontato che in primavera i semi di caffè volano tutto intorno alle piante, per trovare un pezzettino di terra fresca dove sdraiarsi a riposare. E così aveva fatto anche questo chicco, come i suoi fratelli. Ma una volta salito a cavallo di una striscia di vento, invece che farsi portare solo un pezzettino, non aveva più voluto scendere.
Le strisce di vento amano correre, come i cavalli selvaggi, e il semino, anziché spaventarsi – era rimasto attaccato alla criniera e correva, correva sulle ali del vento. E il vento volava, senza mai fermarsi e dopo aver attraversato la terra e il mare, scalò le montagne, fino alla cima; poi seguì un fiume, che si lanciava in una cascata e poi ancora superò boschi e prati e città e deserti. Finalmente – quando fu sera – il vento si fermò, perché era stanco.

“Vai avanti ancora un po’,” lo pregò il semino. “Aiutami a trovare un pezzettino di terra morbida, dove io possa sdraiarmi e riposare.”
E il vento lo accontentò; volarono bassi, cercando quella terra. E quando finalmente videro questo bel campo di margherite, decisero di fermarsi. Ma il semino era incerto e non sapeva che fare. “Non c’è posto per me, quaggiù” gli abbiamo sentito dire al vento. “Ripartiamo.”

Allora noi gli abbiamo fatto un cenno, perché venisse qui, vicino a noi, dove c’era un angolino di terra, che sembrava aspettasse proprio lui.” Il chicco di caffè ci ha sorriso, si è sdraiato in mezzo a noi e noi gli abbiamo rimboccato le coperte.
“Ciao Chicco di caffè,” l’ha salutato il vento, “io me ne torno a casa.”
“Ciao Vento gentile, salutami i miei fratelli e dì loro che io resto qui: ho trovato un Papà e una Mamma Margherita” e si è subito addormentato.

IL BAMBINO PIU' BUONO DEL MONDO

Sentirsi amati, essere accettati, diventare proprio come ci vogliono mamma e papà: questo è il sogno di molti bambini che cercano di essere come noi li vorremmo. Questa è anche la storia del bambino più buono del mondo, fino al giorno in cui impara che fare ciò che è sente e che desidera è ancora meglio e ci fa sentire decisamente meglio.

C’era una volta un bambino talmente buono, ma talmente buono, ma talmente buono che voi non ve lo potete neppure immaginare.

Il suo desiderio più grande era diventare il bambino più buono del mondo, senza dare mai fastidio a nessuno, soprattutto alla sua mamma.
Più buoni di lui c’erano solo una bambina giapponese che per non disturbare aveva smesso di parlare e respirava solo una volta ogni tanto e un bambino israeliano che per non dare fastidio era diventato talmente sottile che passava sotto alle porte.
Il bambino decise che per battere tutti gli altri lui non solo non avrebbe mai fatto capricci, ma quando gli chiedevano qualcosa lui avrebbe sempre saltato di felicità.

“Fai i compiti?” gli chiedeva la mamma. “Subito, mamma.” Diceva lui sorridendo.
“Scendi a comprare il latte?” domandava la nonna. “Volo,” rispondeva lui felice.

“Mi aiuti a raccogliere le foglie in giardino? Chiedeva papà. “Non chiedo di meglio,” rispondeva lui.

“Puoi mettere in ordine la stanza al mio posto?” dicevano i fratelli. “Subito,” si affrettava a rispondere lui, con un faccia talmente allegra che sembra gli avessero fatto un regalo.

A  forza di sorridere a tutto e a tutti però, la faccia di Michele sembrava una maschera di carnevale.
“Mi pulisci le scarpe?” chiedeva lo zio. “Immediatamente,” sorrideva Michele. “
"Mi presti la tua bici nuova?” diceva il cugino. “Prendila.” Replicava Michele.

In breve tutti si approfittavano di lui. Chi gli faceva fare i compiti, chi si faceva dare la merenda. Solo la sua mamma se ne accorse e capì che doveva trovare una soluzione.

“Bambino mio,” lo chiamò un giorno. “Oggi puoi esprimere un desiderio: qualsiasi cosa e io ti accontenterò.”

Il bambino più buono del mondo la guardava in silenzio e non sapeva cosa rispondere. “Visto che tu non sai che dire, ci penso io: per un giorno intero dovrai dire no a tutti”

“Mi presti il tuo pallone?” NO
“Mi risolvi il problema? NO

“MI dai la tua merenda?” NO

“Mi metti in ordine la stanza?” NO

NO, NO, NO NO…
Ahhh, come si sentiva bene: dopo essere stato il bambino più buono del mondo per tutto quel tempo, adesso iniziava a divertirsi con tutti quei no.
Stai composto! Lavati le orecchie! Non saltare sulla tavola!
No, NO, No, NO… urlava Michele: non si era mai divertito tanto.
Quella sera la mamma andò a rimboccargli le coperte.

“Ho capito il regalo che mi hai fatto,” disse quel bambino alla madre
“Con i miei NO ho fatto disperare tutti, ma non mi sono mai divertito tanto.”
“E intendi andare avanti per sempre?”
“NO,” disse lui.
“Allora vuoi tornare ad essere il bambino più buono del mondo?”
NOOOO, rise lui. Adesso che aveva capito che poteva usare anche il no, non ci voleva certo rinunciare.