FAVOLA PER UN BAMBINO TIMIDO

La timidezza, molto comune nell'infanzia, è spesso legata alla sensazione di avere valere poco, soprattutto rispetto a compagni più vivaci e brillanti. La favola aiuta il bambino a pensare che dentro di lui può dormire un tesoro che attende solo di essere scoperto

C’era una volta, sulla scrivania del professor Leopoldo, dimenticata tra le penne e le carte, una scatoletta di cartone, che un tempo aveva contento forse dei cioccolatini. Oggi ci abitavano due bottoni diversi, un elastico verde, un vecchio tagliacarte dalla punta arrotondata e una lenticchia.
Chi avesse messo insieme quei 5 compagni tanto diversi, non chiedetemelo, perché non so rispondere. Quello che so è che il tagliacarte era considerato il capo, perché era forte e molto più alto degli altri. L’elastico, anche se negli anni aveva perso un po’ della sua forma fisica, era considerato il più furbo del gruppo e non perdeva occasione per ricordare a tutti la sua grande agilità. I due bottoni invece,  benché fossero molto diversi tra loro, avevano stretto amicizia e si spalleggiavano sempre. La piccola lenticchia, per quanto non si lamentasse mai, si sentiva stretta in quella scatola di cioccolatini: non parlava mai perché temeva di dire cose stupide, rispetto ai suoi compagni che avevano avuto una vita molto più avventurosa della sua.  Il risultato era che i suoi compagni la ignoravano, tranne quando si divertivano a prenderla in giro dicendo che era piccola e inutile.
La vita della lenticchia era triste e molto, molto solitaria. Accadde però che un giorno di aprile, mentre stava pulendo la camera, Rosina facesse cadere sulla scrivania un bicchiere pieno d’acqua che il professor Leopoldo aveva dimenticato di bere. La ragazza si diede un gran daffare per riparare il danno, ma l’acqua bagnò carte e fogli sparsi; perfino la scatola si impregnò.
“Accidenti a quella sbadata,” si lamentava il tagliacarte temendo che il suo abito d’argento si rovinasse. “Questa non ci voleva,” ripeteva l’elastico e i bottoni non facevano che sbottare e borbottare tra loro contro la povera Rosina.

La piccola lenticchia accettava in silenzio la situazione, senza lamentarsi. Nel giro di qualche giorno però il suo abito marrone si gonfiò al punto che iniziò ad aprirsi. Nessuno dei suoi compagni se ne rese conto, almeno fino a quando, da sotto al suo cappotto, spuntò un virgulto.
Fu l’elastico che lancio l’allarme; stupiti i 4 oggetti di gomma, di legno e di metallo presero ad osservare con molto rispetto quella piccola lenticchia, che diversamente da loro aveva un cuore vivo che stava fiorendo. Il più contento di tutti però fu il professor Leopoldo che un giorno, in mezzo ai suoi libri e alle sue carte, vide farsi spazio un rametto di un verde chiaro. Lo estrasse delicatamente dalla scatola e lo piantò in un bel vaso sul davanzale.

FAVOLA PER CHI FA I CAPRICCI

C'è sempre una buona ragione per la quale un bambino fai capricci. Il compito del genitore è quello di ascoltare qual'è la richiesta che si cela dietro al pianto. E' davvero  quel gioco o quel cibo che ci stanno chiedendo? O non è invece dell'altro?

C’era una volta, nella casa di mamma, papà e Giovannino, una vecchia sveglia fedele, che essendo diventata troppo anziana per fare il suo lavoro, decise di andare in pensione; così papà uscì e ne comprò una nuova che correva veloce e aveva un suono allegro e vivace.

Quando la videro, mamma e Giovanni fu felicissimi: la sveglia era davvero bella e colorata. Da lì a qualche giorno però dovettero pentirsi della loro felicità. La sveglia nuova infatti era molto capricciosa e ogni tanto, senza alcun preavviso si metteva a correre e a suonare. Suonava quando tutti erano a pranzo, oppure quando papà parlava al telefono, o ancora quando Giovanni stava ascoltando una favola, prima di addormentarsi; una volta suonò perfino nel cuore della notte, svegliando tutti gli inquilini del palazzo.
“Una sveglia così non va proprio bene,” disse una sera papà alla mamma. “Bisognerà togliergli le pile e chiuderla in un cassetto.”
“Oppure potresti riportarla al negozio,” suggerì la mamma. “Magari la cambi e te ne fai dare una buona e ubbidiente.”

Giovanni però, che li sentiva parlare dal suo letto, era molto dispiaciuto. Sì, è vero, la sveglia faceva tanti capricci, ma lui non voleva mandarla via: quella sveglia gli era molto simpatica. Così decise di nasconderla sotto il suo cuscino, perché nessuno la portasse via. Una volta al calduccio, nel letto di Giovanni, la sveglia sussurrò: “Grazie Giovannino”.
Il bambino fu molto meravigliato: “Non sapevo che le sveglie parlassero. Ma visto che ci sei, puoi spiegarmi perché fai sempre i capricci?”
“Io non volevo fare i capricci: è solo che ho tantissimo freddo e così salto e ballo, per riscaldarmi.”
Pensa e ripensa, Giovannino trovò una soluzione: avvolse la sua sveglia in una bella sciarpa di lana che la teneva al caldo e la sveglia, da quel momento, smise di fare i capricci e cominciò a suonare all’ora giusta.
“Come hai fatto, Giovannino?” chiesero papà e mamma, felici perché la sveglia aveva finalmente preso a funzionare nel modo giusto.”
“Hai imparato a parlare il linguaggio delle sveglie.” Disse ridendo Giovannino.

QUANDO LA MAMMA E' LONTANA...

Può capitare che la mamma (o il papà) debba allontanarsi per ragioni di lavoro o di salute. La mancanza che indubbiamente il bambino prova può essere compensata dal pensiero che presto ci rivedremo e staremo di nuovo insieme. La favola lavora su questo, aiutando il bambino a comprendere che dopo il tempo della lonatanza, torna quello della prossimità e del calore.

C’era una volta una goccia di pioggia a cui piaceva attraversare i cieli, in braccio alla sua mamma nuvola e da quella posizione tranquilla e sicura, si godeva il paesaggio: vedeva sotto di sé il mare pieno di pesci colorati, le montagne coperte di pini, i prati verdi, punteggiati di fiori e naturalmente le città così piene di macchine e di gente indaffarata che correva da una parte all’altra.
Un  giorno però, mentre la sua mamma si faceva cullare dal vento, la piccola goccia d’acqua si sporse un po’ troppo e scivolò. Eccola correre veloce verso la terra, insieme a tante altre gocce che cantavano e ridevano felici. La piccola goccia si sentiva disperata e impaurita perché era la prima volta che lasciava la sua mamma. Stava ancora pensando a questo, quando atterrò nell’orto di un contadino, su una bella foglia verde di lattuga.

In quel momento vide una donna che lavorava nell’orto: la donna prese l’insalata su cui era caduta la gocciolina e la portò in casa; poi la mise sotto l’acqua e la piccola goccia si infilò nel buco del lavandino e insieme a tante altre gocce si ritrovò a correre giù lungo i tubi, fino a quando raggiunse un grande lago azzurro.
Che spettacolo meraviglioso, pensò la goccia, ma dentro di sé sentiva sempre la mancanza della mamma e dei suoi abbracci caldi. Un raggio di sole la vide, piccola e triste, e le andò vicino per accarezzarla; in poco tempo la gocciolina si sentì diventare leggera leggera e prese a salire nel cielo, come un palloncino.
Mentre saliva, sentiva il cuore batterle perché sapeva che presto avrebbe riabbracciato la sua mamma: e fu proprio così. Mamma nuvola la aspettava sorridendo: “Brava gocciolina coraggiosa,” le disse la mamma, abbracciandola forte. La goccia d’acqua si sentì di nuovo felice, stretta in quell’abbraccio caldo.
“Mamma mi sei mancata tanto,” disse la gocciolina.
"Anche tu, piccola mia.” Le rispose la mamma, “ma ricordati che ogni volta che partirai, per dissetare la terra, sarò qui ad aspettare il momento di riabbracciarti.”
La gocciolina imparò la lezione e da quel momento salutava la sua mamma ogni mattina e poi partiva tranquilla, perché sapeva che presto sarebbe tornata ad abbracciarla.

LA SCUOLA CHE AVEVA PAURA DEL BUIO

La paura del buio nasconde in realtà la paura di restare soli, di sentirsi isolati e abbandonati. La favola aiuta a focalizzare questa sensazione, per superarala con la presenza di un amico che sconfigge la paura e rende accettabile anche il buio

C’era una volta una scuola di campagna, con grandi aule, banchi di legno e una lavagna nera appesa al muro. Questa scuola aveva fatto crescere centinaia di bambini che erano passati per le sue aule, avevano corso nei corridoi e giocato in cortile, ma poi – lentamente – gli allievi erano diventati sempre meno: la scuola era invecchiata e il comune ne aveva costruita un’altra molto più bella e moderna.

La vecchia scuola non ci era rimasta male: era stanca e non le dispiaceva quel silenzio in cui ricordava i lunghi anni di lezioni, di risate e di interrogazioni. Un giorno però il comune decise di togliere la luce alla vecchia scuola e tutto d’un tratto le aule si fecero buie e scure, oltre che silenziose. Che ci crediate o no, quel vecchio edificio aveva paura del buio: si sentiva solo, freddo e abbandonato.

Quando arrivava la sera, si sentiva invadere dalla paura e ogni rumore sembrava prodotto dai piedi di una strega, ogni ombra sulla strada faceva pensare ad un malvivente. Di notte la scuola non riusciva a chiudere occhio e aspettava tremando che arrivasse il mattino seguente: appena le luci dell’alba facevano capolino, la scuola si sentiva di nuovo tranquilla e poteva schiacciare un pisolino.

Una notte però, mentre batteva i denti dalla paura, la scuola sentì il rumore di qualcuno che batteva sui vetri della finestra. “Fammi entrare, vecchia scuola.” Sussurrò una vocina. Era un piccolo pipistrello randagio, in cerca di un riparlo. La scuola non se lo fece ripetere due volte: spalancò il portone e lo fece entrare, e dopo quella notte, ogni notte il pipistrello tornò spesso a trovare la scuola, e a dormire al calduccio.

“Ma tu non hai paura del buio?” Gli chiese una volta la scuola, vedendolo così tranquillo. “Neanche un po’,” disse il pipistrello. “Io sono cieco e per me tutto è buio: io però sono bravo ad ascoltare. Ho sentito da lontano i tuoi sospiri e seguendo la tua voce sono arrivato fin qui.”

La scuola lo guardò stupita: era vero, il piccolo pipistrello non ci vedeva, e proprio per questo sapeva che il buio non poteva fare paura. “Se vuoi superare la paura del buio,” disse il pipistrello, “chiudi gli occhi e fai conoscenza col buio.” La scuola si allenò ogni giorno e da allora non ha più paura della notte e del buio.