FAVOLA PER IMPARARE A DIRE GRAZIE

Che fare se un bambino si rifiuta sistematicamente di ringraziare? La favola aiuta a fargli capire perchè ringraziare è tanto importante tra le persone, come se fosse una moneta di scambio, da utilizzare tutte le volte che è necessario

C’era una volta una bambina a cui non piaceva la parola “grazie”. Non mi chiedete perché, io non lo so; quello che so per certo è che non voleva mai dirla.
Se le cadeva una penna a terra e un compagno la raccoglieva, le se la faceva dare, ma non diceva grazie.
Se la maestra le teneva aperta la porta, lei passava veloce, ma non diceva grazie.
Se la mamma le porgeva un piatto di pasta, lei lo prendeva e mangiava di gusto e se papà le portava la cartella? Avete indovinato? Esatto: lei camminava tranquilla, senza quel peso sulle spalle, ma non diceva mai ‘grazie’.
“Ilaria,” le chiedeva la mamma, “perché non ringrazi chi ti aiuta?”
“È inutile,” rispondeva quella bambina. “Se qualcuno vuol farmi un favore, io sono contenta. Ma non ho proprio voglia di dire ‘grazie’.”
Alla mamma non veniva in mente niente da ribattere e restava in silenzio.
Un giorno però, propri mentre andava a scuola, incontrò per la strada un orsetto dall’aria bizzarra che indossava sul pelo bianco un gilet verde e viola. “Ilaria, sei proprio tu, sono contento di conoscerti: ho sentito molto parlare di te.”
“Davvero?” chiese la bambina curiosa. “E da chi?”
“Vedi io sono un orsetto Ringrazi-orso; nel mio paese i ‘grazie’ sono preziosi e li usano tutti. Così quando abbiamo sentito che c’era una bambina sulla Terra che non li usava mai, mi hanno mandato a conoscerti.”
“Accidenti!” esclamò Ilaria. “Ma allora sto diventando importante.”
“Certamente e se vuoi ti porto nel mio paese a conoscere i miei amici,” rispose l’orso. “Ma ho una condizione: che tu non mi dica mai ‘grazie’”
“Oh, stai tranquillo, questo te lo posso garantire.” L’orso la prese per mano e in un batter d’occhio la portò in volo nel bosco dove si trovava la città degli Orsi Ringrazi-orsi. Avevano case di vetro e biciclette volanti con cui giravano liberi per il cielo. Tutti indossavano il gilet e andavano in giro sorridendo nella loro bella città.
“Che posto incantevole!” Esclamò Ilaria.
“E non hai ancora visto il meglio.” Si accomodarono in un caffè e subito un cameriere portò loro una coppa di gelato ricoperta di panna e cioccolato. Ilaria la mangiò di gusto. Poi si rese conto che non aveva soldi. "Non posso pagare,” sussurrò al Ringrazi-orso. “Non preoccuparti,” rispose lui, poi rivolto al cameriere: “Due grazie grandi, grandi da me. La signorina qui presente non ne ha.”
Il cameriere sorrise e i due uscirono. “Ma non hai pagato?” Chiese Ilaria.
“Vedi mia cara, nel nostro paese abbiamo eliminato i soldi: qui non ci sono poveri né ricchi e tutti  possono avere ciò che gli serve. Basta solo che dicano ‘grazie’”.
“Che meraviglia, beati voi! Da noi è molto diverso.”
“Ah, lo so bene. Ma vedi è proprio ‘grazie’ a persone come te che da voi il sistema non funziona. Se voi foste capaci di ringraziare, quando qualcuno vi aiuta, allora potreste smetterla di accumulare i soldi e utilizzare i ‘grazie’.” Ilaria era rimasta a bocca aperta.
“Vuoi dirmi che basterebbe che tutti noi dicessimo…”
“Non pronunciare quella parola,” la interruppe l’orso. “Me lo hai promesso. Vedi Ilaria, la parola ‘grazie’ - che a te non piace e che fai tanta fatica a pronunciare - nel mio mondo è una moneta preziosa, che vale un tesoro. Ma se per te e i tuoi amici non vale nulla, è inutile dartela: voi continuerete a usare i soldi, ad accumulare monete e a fare la guerra tra ricchi e poveri; noi – usando il ‘grazie’ potremo vivere, viaggiare, fare la spesa o comprare quello che ci serve usando bene questa semplice parolina.”
Ilaria non credeva alle sue orecchie. “E io non posso più usarla? Proprio adesso che ho capito a cosa serve.”
“L’unica possibilità è che tu torni nel tuo paese e vai a dire grazie a tutti quelli che ti hanno aiutato e che non hai ringraziato prima.”
E se volete sapere la verità, Ilaria è tornata a casa e sta cercando tutti quelli a cui non ha detto grazie negli ultimi anni.

PER CHI NON VUOLE ANDARE A DORMIRE

Quando è ora di dormire, nessun bambino vorrebbe mai andare a letto. Ma portarlo al dormire significa non solo garantirgli le ore di sonno di cui ha bisogno. Significa anche fargli capire che le regole le fanno i grandi, perchè sanno quello che è meglio per i piccoli... 

C’era una volta una locomotiva che amava correre lungo i binari per ore ed ore. Si fermava alla stazione. Alcuni passeggeri salivano, altri scendevano e la locomotiva trascinava i suoi vagoni lungo i binari; saliva e scendeva le montagne, attraversava i continenti, percorreva i ponti. Però, quando arrivava l’ora di dormire, non voleva mai fermarsi.
Ogni volta i vagoni dovevano insistere “siamo stanchi, oggi abbiamo percorso così tanti chilometri, abbiamo fatto tanta strada. E poi è buio, non vedi? Adesso tutti vanno a dormire, i bimbi, le mamme e anche i papà. Perché non dormi un po’ anche tu?”
Ma la locomotiva non ne voleva sapere. “Io non ho sonno,” diceva. “Io sono una locomotiva. A me piace correre, girare, vedere cose nuove.”
“Sai che facciamo?” le disse un giorno il primo vagone. “E’ una bella stazione in un paesino tranquillo. Il pomeriggio verranno i bambini a giocare con noi: ci prendiamo una vacanza! Tu puoi continuare a girare tutti il tempo che vuoi. Ti aspettiamo qui tra un mese.”
E così fecero.
La locomotiva partì e i suoi vagoni le fecero “ciao, ciao” dai finestrini.
Passa un giorno, ne passano due, la locomotiva si sentiva così felice. “Adesso si che mi sento libera. Posso correre dove mi pare, senza mai fermarmi. Farò il giro del mondo: voglio far vedere a quei pigroni quanto è stupido perdere tempo dormendo.” E correva a più non posso.
Ma più passava il tempo più la locomotiva si sentiva stanca e ogni giorno riduceva un po’ la sua velocità, finché un giorno si accorse che aveva smesso di correre e si muoveva ormai molto lentamente.
“Dove vai così piano?” le chiese un piccolo passaggio a livello, quando la vide arrivare.
“Oh…” disse la locomotiva, “lo vedi anche tu? Mi sento così stanca… ma proprio non riesco ad andare più veloce.”
“Da quanto tempo non ti fermi a riposare?” le chiese il passaggio a livello.
“Beh, io non ho bisogno di riposare.”
“Io dico di si. Vieni, qui c’è un vecchio binario dismesso. Fermati un minuto: nessuno ti disturberà.”
La locomotiva lo ascoltò ma appena si fu fermata cadde in un sonno profondo. Dormi così, senza svegliarsi, per quattro giorni e per quattro notti. Quando si svegliò si sentiva di nuovo carica e piena di energia.
“Ciao Passaggio-a-livello! E grazie del consiglio. Adesso mi sento di nuovo bene, e voglio ricominciare a correre.”
“Stai attenta,” le disse il passaggio-a-livello, è meglio se ti fermi e dormi un po’ ogni notte, invece che correre tanto e poi dormire 4 giorni di seguito.
“HO DORMITO COSI’ TANTO??” chiese la locomotiva.
“Certo, e mentre dormivi sono passati di qui tuoi vagoni e mi hanno detto di salutarti. Non è meglio stare con loro tutto il giorno e riposarsi insieme di notte?”
“Credo di si,” disse la locomotiva.
“Allora corri,” le rispose il Passaggio-a-livello. “Se fai in fretta riesci a raggiungerli… ma non dimenticarti, di notte bisogna dormire”!

LO SCIOPERO DELLE MAMME

La mamma è lì apposta per loro. Questo sanno i bambini, ma a volte è importante far loro capire che questo non va dato per scontato e anche le mamme sono stanche o tristi. Se vogliamo che i nostri figli siano sensibili verso gli altri, dovremo forse verificare che lo siano prima di tutto verso i loro cari

Tanti ma tanti anni fa’ un gruppo di mamme del paese di Chissàdove si incontrarono per festeggiare l’arrivo del Natale. Avevano messo a letti i loro bambini, avevano lasciato i papà a guardarsi la partita e si erano ritrovate nel bar di Pinuccia, per bersi una cioccolata calda.

“Io vorrei scrivere una letterina a Babbo Natale.” Disse una.
“Ottima idea,” rispose un’altra.
“Io avrei un sacco di cose da chiedergli.” Aggiunse una terza che si chiamava Chiara. Ma parla e pensa, pensa e parla decisero che avrebbero scritto un'unica lettera tutte insieme.
“Caro Babbo Natale,” diceva la lettera ,“siamo 6 mamme e ci sentiamo molto stanche. Non solo lavoriamo come bestie dalla mattina alla sera, ma nessuno sembra mai accorgersi di quello che facciamo e nessuno ci dice mai grazie. Quest’anno vorremmo che ci aiutassi tu.”

Babbo Natale – che è un ometto piccolo, con un cuore grande così – fece loro un regalo bellissimo. Un biglietto per una crociera attraverso il mare Mediterraneo.
“Che bel regalo,” Saltellavano ridendo le mamme. “Non vedo l’ora di partire,” dicevano; ma poi si resero conto che partire avrebbe significato lasciare soli i loro bambini per 3 settimane.
“Non possiamo accettare il regalo.” Dicevano quelle brave mamme. “Come farebbero senza di noi i nostri bambini?”. Ma quando i bambini seppero del regalo, furono loro i primi a spingerle. “Vai mamma, non preoccuparti;” dicevano.

“Cosa vuoi che sia, ce la caveremo benissimo.” Così, finalmente rassicurate, le mamme fecero le valigie e partirono in crociera.
I primi giorno furono bellissimi per i bambini: giocavano tutto il giorno, andavano a letto senza lavarsi i denti e cominciarono a pensare che se la cavavano benissimo anche senza mamma.
Il quarto giorno iniziarono i primi incidenti. Francesco non aveva più calze pulite, Rosalina prese un brutto voto perché nessuno le aveva ricordato di studiare le tabelline e Mattia si riempì di macchie verdi perché invece di pasta e carne, mangiava solo budino al pistacchio.
Dopo una settimana i bambini erano nel caos. Nessuno aveva più vestiti e Paoletta aveva perso perfino le scarpe. E i papà, penserete voi? Erano andati in crociera anche loro? NOOO. Eppure a certe cose i papà non pensano: se non hai vestiti puliti, mettiti il pigiama, disse uno. Se hai le macchi verdi, mangia budini alla fragola, disse un altro.

Dopo 10 giorni i bambini sembravano naufraghi. Capelli annodati, denti gialli, piedi nudi in scarpe spaiate e vestiti luridi. Le cartelle sembravano perfino invecchiate, piene di quaderni e libri dalle pagine spiegazzate. Nella camere da letto poi, i letti non si trovavano più, sepolti come erano sotto montagne di vestiti sporchi.
“Speriamo che tornino in fretta le nostre mamme.” Diceva Francesco. “Io non la lascerò più andare via,” piagnuccolava Cristina. “Se non torna e mi aiuta a fare i compiti, la maestra mi boccia.”
Dopo altri 5 giorni la situazione era disperata. Le bambine non volevano più uscire di casa perché non avevano vestiti puliti e due dovettero raparsi a zero, perché nessuno le aiutava a pettinarsi e avevano la testa piena di nodi. I maschietti invece volevano restare a scuola, perché dicevano che a casa loro nessuno cucinava. Mattia chiese addirittura alla maestra se poteva tornare a casa con lei.
Dopo altri 2 giorni i papà fecero una riunione. Così non poteva davvero continuare: bisognava trovare una soluzione. “Babbo Natale deve rimandare le mamme a casa.” Sbraitavano i papà.

In quel momento qualcuno bussò alla porta. “Sono Babbo Natale, ho sentito che state parlando di me: lasciatemi entrare.” I papà aprirono la porta  e Babbo Natale ascoltò i loro racconti. “Capisco,” disse alla fine Babbo Natale, “ma le mamme si stanno riposando e divertendo un po’.. Non avete capito che lavorano tanto?”
“Certo che lo abbiamo capito..” dissero in coro i papà.
“E anche noi… “ urlarono i bambini che erano nascosti in cucina.
“Allora vi rimanderò le mamme: ma prima dovete promettervi che vi impegnerete a ringraziarle sempre per tutte le cose che fanno per voi..”
“Lo promettiamo!” Urlarono tutti in coro e in quel momento una slitta volante, trascinata da 6 renne arrivò in quella casa, con tutte le mamme a bordo, che avevano interrotto la loro crociera, ma erano molto contente di abbracciare i loro bambini. E da quel giorno in avanti ognuno di quei bambini ringraziò la sua mamma tutte le mattine e tutte le sere, per le belle cose che facevano per loro.

UNA FAVOLA PER INSEGNARTI A NON TOCCARE, QUELLO CHE NON SI DEVE TOCCARE

Spinti dalla curiosità e dal desiderio di conoscere, i bambini dimenticano i nostri divieti e fanno ciò che non dovrebbero. In alcuni casi però questo potrebbe diventare pericoloso per loro o per altri, come la piccola fiammella.

Un piccolo fuocherello era nato in campagna. La sua mamma era una fiamma del focolare e il suo papà era il grande fuoco che ardeva nel camino della sala da pranzo. Lui era ancora un piccolo fuocherello, ma molto vivace e curioso. Stava con la sua mamma nel focolare e bruciava la paglia e i ramoscelli che si trovavano lì. Gli piaceva molto saltellare e lanciare qua e là qualche piccola scintilla.

“Non toccare,” gli diceva la mamma. “E’ molto pericoloso.” Ma il fuocherello, ve lo immaginate, non la ascoltava.
Così un giorno volle avvicinarsi ad uno straccio che era appoggiato ad una panca, ma appena lo toccò quello prese fuoco. Un bella fiamma gialla e rossa lo avvolgeva, ma subito qualcuno lo prese e lo buttò nell’acquaio.

“Hai visto cosa hai combinato?” gli disse la sua mamma.
“Ma io volevo solo toccarlo, per capire come era fatto.”

Fu solo una settimana dopo che si avvicinò troppo ad un giornale che era stato lasciato troppo vicino al fuoco. La settimana dopo finì per toccare solo una pagina di un libro che era poco lontano, ma tutto il libro iniziò a bruciare e non fu possibile salvarne neanche una parola. Il giorno dopo il fuocherello fu incuriosito da qualcosa e lanciò una scintilla che cadde sul tappeto di corda e gli fece un grosso buco che c’è tuttora.

E quando la mamma lo sgridava, il fuocherello diceva “ma io volevo solo vedere.”
“Lo so, ma se ti avvicini troppo il tuo calore brucia.
L’ultima volta il fuocherello era così attratto da un bellissimo cuscino azzurro che si avvicinò tanto che bruciò il cuscino e tutta la sedia su cui il cuscino stava appoggiato

“Così non si può andare avanti.” Disse il padrone di casa. “E’ ora che costruisca una protezione per il fuoco del focolare.” E mise un vetro tutto intorno alla fiamma.
“Hai visto,” disse la mamma al suo fuocherello. “Ti avevo detto di non toccare, ma tu non mi hai dato retta. Adesso con questo vetro tutto intorno non potrai più muoverti davvero.”





FAVOLA PER I BAMBINI CHE NON AMANO ACQUA E SAPONE

Anche il rituale del lavarsi è importante per un bambino, non soltanto per averlo sano e pulito, ma anche per aiutarlo a capire l'importanza del prendersi cura di sè e del proprio corpo. Forse raccontando la fiaba della freccia indiana, è più facile capirlo

C’era una volta una freccia indiana che era stata costruita da un grande capo: albero rossa. Era una freccia bellissima e la sua punta era stata dipinta con un bel rosso fuoco che la distingueva e  la rendeva diversa da tutte le altre. Tutte le altre frecce la guardavano con ammirazione e lei si sentiva bella e importante.

Così quando il capo indiano lavava le sue frecce la sera prima di una battaglia o di una battuta di caccia, la freccia rossa riusciva sempre a nascondersi da qualche parte: sotto una stuoia, dietro la tenda, in un cespuglio nel prato. Rotolava e si nascondeva perché non voleva assolutamente lavarsi e aveva paura che la sua bella punta rossa venisse lavata via dall’acqua e lei allora sarebbe stata come tutte le altre.

Adesso invece tutti la guardavano e la riconoscevano “è la freccia del grande capo albero rosso”.
Un giorno – parecchio tempo dopo – il capo indiano la prese in mano per guardarla bene e vide che era molto sporca.

“Questa freccia è diventata vecchia.” Disse e la buttò in un cespuglio.
Ahi, ahi, ahi, come si sentì male quella freccia orgogliosa. Per fortuna, proprio dove il capo indiano l’aveva buttata, c’era una pozza d’acqua. Passò di lì un bambino indiano.
“Waw”, si disse, “ecco  la famosa freccia rossa di albero rossa.”

La sciacquò bene ed eccola, come nuova. E la mise tra i suoi giochi.
“Se mi fossi fatta lavare prima,” si disse la freccia, “tutto questo non sarebbe successo.”