FAVOLA PER BAMBINI MOLTO ARRABBIATI!

La rabbia che i bambini provano (e che vedono provare agli altri) è un emozione difficile da contenere. Questo non significa certo che vada repressa, ma sicuramente occorre imparare a gestirla, perchè le reazioni che provoca non diventino pericolose per il bambino stesso. E soprattutto occorre sapere come fermarla, e non lasciarsi trascinare, una volta che ne siamo preda


Oggi Riccardo si è arrabbiato moltissimo. Un suo amico lo ha fatto infuriare e lui ha iniziato a urlare, a battere i piedi, a lanciare tutto quello che trovava intorno. All’inizio si è sentito meglio, ma poi nella pancia gli si è formata una bolla di arrabbiatura che non riusciva ad uscire.

“Adesso giochi con noi?” gli dice un amico, ma Riccardo non vuole. E lo sapete perché? La strega Arrabbiosa l’ha talmente imprigionato, che lui non riesce più a liberarsene.
In fondo ad una vecchia grotta abbandonata, vive Arrabbiosa, la strega più arrabbiata che ci sia. E’ magra come un ramo di quercia, senza le foglie; due occhi rossi che sembrano braci e una lunga chioma di capelli neri e stopposi. Quando un bambino si arrabbia, lei è tutta contenta e senza farsi vedere gli corre vicino. Poi gli sussurra nelle orecchi le sue parole magiche e  il bambino si sente dentro il fiato caldo della strega e la sua rabbia cresce. Allora urla ancora più di prima…

Poi però la strega, inizia ad avvolgerlo con i suoi lunghi capelli neri e cerca di tenerselo vicino più che può.  Al bambino infatti passa subito la voglia di giocare o di ridere o di stare in mezzo ai suoi amici. Vuole solo starsene solo con Arrabbiosa, perché lei è una strega gelosa e non vuole che si avvicini nessuno. E anche quando il bambino è stufo, la strega  lo tiene legato per i capelli e lui stesso fa molta fatica ad andare via.
E allora? Mio nonno Mario, che era un uomo saggio e sapeva tante cose, mi ha insegnato un trucco che conoscono i pescatori del polo nord. Quando un bambino viene catturato dalla Strega Arrabbiosa , bisogna che tutti lo aiutino e abbiano molta pazienza con lui.

Gli amici, i fratelli oppure i nonni o i genitori devono prenderlo per mano e fare con lui un bel girotondo allegro e alzando le mani in alto e riportandole verso terra (senza mai staccarle) devono ripetere 10 volte queste parole magiche:
“Strega Arrabbiosa, vecchia pelosa,
levati di torno, non fare più ritorno.”

Solo che non devono ridere.. altrimenti l’incantesimo non funziona e bisogna ricominciare da capo.
Provate anche voi e vi accorgerete che mio nonno Mario aveva proprio ragione.

IO LI' NON CI VOGLIO ANDARE: NON CONOSCO NESSUNO

A scuola, a danza, agli scout: come è difficile inserirsi in un gruppo dove non conoscono nessuno. Eppure si tratta di un allenamento straordinario che ci permetterà di affrontare il nuovo a cuor leggero. In fondo si tratta solo di iniziare e questa è la favola giusta.

Mia nonna Maria vive in campagna e nel giardino davanti a casa sua coltiva piante e alberi da frutto.
Il più bello di tutti è un grande albero di ciliegie che ogni anno si riempie di frutti rossi, buonissimi e noi bambini ce n facciamo delle grandi scorpacciate. Eppure – dice mia nonna – la sua storia è stata davvero particolare. Adesso ve la racconto.

Una volta mia nonna aveva deciso di farsi un frutteto e aveva piantato con cura tutti i semi dei frutti più buoni: pesche, albicocche, susine, mele e perfino fichi. Li aveva messi dove la terra è più ricca e grassa e ogni giorno li bagnava e controllava se crescevano bene.
Una mattina – quasi per caso – si accorse che qualcuno aveva buttato un piccolo seme di ciliegia per terra, non in mezzo agli altri, ma vicino al sentiero sassoso. Si era avvicinata, ma il seme si era richiuso su sé stesso e faceva di tutto per nascondersi.
“Che fai qui?” gli aveva detto la nonna. “Non vuoi diventare un albero grande e bello come tutti gli altri?”
A quelle parole il semino si era fatto ancora più piccolo e con una vocina flebile aveva detto: “Qui sono tutti amici e io non conosco nessuno.”
“Sciocchezze,” Ha commentato mia nonna. Ha preso una paletta e ha scavato una bella buca profonda proprio in mezzo al giardino.
“Mi vergogno a stare qui in mezzo,” ha cercato a dire il seme di cigliegia. “Lasciami in un angolino tranquillo…”
La nonna però non gli ha dato retta, gli ha fatto un lettino di terra, gli ha rimboccato e l’ha lasciato lì.
Dopo qualche giorno, quando è tornata, non credeva ai suoi occhi. Il seme aveva buttato radici e foglie tutto intorno, si era fatto tanti amici e non smetteva mai di chiacchierare.
“Hai visto, piccolo seme. Avevi tanta paura, ma è bastato metterti tra altri semini come te e in pochissimo tempo ti sei fatto un sacco di amici.”
“Hai proprio ragione,” ha risposto il semino. “Adesso però scusami, non ho tempo per parlare con te: devo andare a giocare con gli altri.”

FAVOLA PER ALLACCIARSI LE CINTURE IN MACCHINA

Sembra solo un'enorme scocciatura, invece allacciarsi le cinture quando si va in macchina è importante e obbligatorio. E se i bambini si lamentano? Sempilice basta raccontare la favola della famiglia marziana

C’era una volta una famiglia marziana che doveva andare su Urano a fare le vacanze.

Fecero le valigie ed entrarono nella loro nuova astronave familiare a sei posti. Papà Marziano si infilò il casco e si mise al volante. Poi si allacciò la pesante cintura di sicurezza; mamma marziana fece lo stesso e come lei lo fecero i 3 figli marziani; ma l’ultimo, il più piccolo, lui proprio non voleva allacciarla.
“Il casco me lo posso anche mettere,” diceva. “Ma la cintura - quella no. Non la metterò mai. Mi stringe la pancia e non riesco a respirare.”
Il papà e la mamma marziani provarono in ogni modo a convincerlo, ma non c’era niente da fare.
“Se non ti allacci la cintura, finirai per cadere.” Diceva papà.
“Io mi tengo forte,” rispondeva il cucciolo marziano.
“Ma potresti farti male,” ribatteva la mamma.
“Starò attento,” diceva il piccolo marziano. Non c’era nulla da fare e per quanto i genitori insistessero, lui non si arrendeva.

Alla fine papà mise in moto e l’astronave partì sfrecciando per il cielo, attraverso le galassie.
Il piccolo marziano invece si teneva forte al suo sedile ma ad un tratto – quando meno se lo aspettava – avvenne l’imprevisto. Papà fece una frenata brusca, il piccolo marziano cadde dal sedile e scivolò fino in fondo all’astronave; ma qualcuno doveva aver lasciato aperto un finestrino e lui… cascò fuori.
Così si ritrovò solo, in mezzo a quel cielo nero e gli venne una gran paura:  “Aiuto, papà.. vienimi a prendere…” si mise ad urlare, ma invece del papà gli venne incontro un terribile mostro lunare, grande come un dinosauro con una enorme bocca piena di denti e se lo mangiò in un boccone.

Come era buio lo stomaco di quel mostro. Il piccolo marziano voleva piangere dalla paura; ma non ne ebbe il tempo perché nello stomaco del mostro nuotava  un enorme squalo venusiano che appena lo vide, se lo mangiò in un boccone. Accidenti, pensava il piccolino: venir mangiato due volte nello stesso giorno non se lo aspettava, ma ecco che dentro la bocca dello squalo c’era un gigantesco ratto peloso. Ci credereste? Il ratto spalancò la bocca e si mangiò il cucciolo marziano.
Lo spazio adesso era davvero poco, lui si sentiva schiacciato da tutte le parti e c’era quella terribile puzza di alito di topo che faceva venire voglia di vomitare. Ah, come avrebbe messo volentieri quella cintura dell’astronave adesso.
Proprio in quel momento si sentì un urto fortissimo: qualcosa doveva aver colpito il mostro lunare. Poi un secondo urto; forse era stato colpito lo squalo venusiano. Un terzo colpo e la bocca del ratto si spalancò lasciando entrare un grosso braccio marziano.
“Questa è la mano del mio papà: la riconosco,” pensò il piccolo marziano. Era proprio così: il papà lo prese per le orecchie e lo rimise a sedere sull’astronave.
“Vuoi allacciarti la cintura adesso o preferisci che ti lasci qui?”
“La allaccio subito.....” sussurrò il piccolo marziano e da quel giorno non viaggiò mai più senza cintura.

ANCHE LA PAZIENZA DELLE MAMME A VOLTE FINISCE

Le mamme sono pazienti: più che possono. Ma a volte anche loro non ce la fanno più. E allora? Urlano? Si arrabbiano? Forse. Ma quello che è importante è aiutare i bambini a capire che spesso la loro pazienza è stata consumata (magari anche inutilmente).

C’era una volta una fata che si chiamava Pazienza. Come le sue sorelle era buona e dolce, ma a differenza delle altre era l’unica che non sapeva fare magie. Questo la rendeva triste.

«Perché tutte le mie sorelle hanno la capacità di fare magie e io no?» chiedeva sconsolata al suo papà.

«Ciascuno ha un certo numero di talenti,» rispondeva lui. «Ma non si possono scegliere. Se non sai fare magie, usa il cervello.»

Così Pazienza divenne una fatina laboriosa e utilizzava le piante e le radici degli alberi per preparare medicazioni e unguenti che non avevano nulla di magico. Accadde che una volta, quasi per caso, mescolando il polline di fiori diversi, la buccia di mela grattugiata e alcuni semi di mandarino schiacciati, ottenne una sostanza profumata. Quando la assaggiavi sulla punta della lingua, ti dava un senso di rilassatezza meraviglioso e anche le cose non ti piacevano o ti davano fastidio, d’un tratto diventavano poco importanti.

Era una sostanza meravigliosa che rendeva la vita più bella e serena. Pazienza la mostrò al suo papà.

«Hai realizzato una cosa meravigliosa,» disse lui. «Adesso devi decidere che cosa fartene.»

Così la fatina Pazienza pensò a chi poteva regalala. Pensa, pensa finalmente capì che chi ne aveva più bisogno erano le mamme, quando stavano con i loro piccini. Così, grazie all’aiuto della sua zia Ventura, la grande fata del bosco e dei suoi poteri magici fece in modo che ogni volta che nasceva un bambino, nel cuore della mamma si forma un meccanismo che comincia a produrre la pazienza. Le mamme usano tutta quella che serve. Così quando i bambini fanno i capricci, rompono qualcosa o sporcano tutto, le mamme usano tutta la pazienza del loro cuore. A volte quando ne hanno bisogno proprio tanta, usano tutta quella che hanno. La pazienza intanto si ricostruisce, ma a volte, per un breve istante la pazienza è finita. Allora le mamme sbuffano. «Che c’è?» chiedono i bambini.

«Ho finito la pazienza,» dicono le mamme. Allora i bambini capiscono che la cosa è grave e cercano si essere ubbidienti per un pò, almeno fino a che non si ricostituisce una buona dose di pazienza, e la mamma torna serena. Così se un bambino fa cadere dell’acqua, si bagna o rompe qualcosa la mamma dice «pazienza!» e rimette tutto a posto senza più arrabbiarsi.


Una favola ad hoc per i tuoi bambini

Dillocon1fiaba si è dato la mission di confezionare favole ad hoc, per aiutare i gneitori a parlare con i loro bambini.
A partire da domenica 9 ottobre, una volta alla settimana sul blog una favola per i vostri bambini. Perchè non ci aiutate a scegliere gli argomenti più interessanti.

Scriveteci quale messaggio volete "manadare" ai vostri bambini e Dillocon1fiaba lo scriverà per voi

Le parole dei bambini

Quando partecipano ad un laboratorio o ad uno spettacolo interattivo, i bambini si mostrano; ci fanno vedere quello che sentono, perchè ancora faticano a nascondersi o a schermarsi. Le loro emozioni sono tutte in evidenza: in superficie.

Ma allora possiamo capire tante cose quando un bambino partecipa ad un laboratorio? E' proprio così. In molti casi, dopo aver passato un'ora o due con dei bambini che non ho mai visto prima, colgo di loro degli elementi chiave. In qualche caso riesco a "restituirli" al genitore. E' come se il mondo emotivo del bambino ti fosse messo davanti agli occhi: quello che è in lotta con sì stesso, quello che aspetta qualcosa; quello che si sente in competizione con il fratello; quello che non trova uno spazio con i suoi compagni. Tutto è lì, davanti agli occhi di noi grandi, che a volte non ce ne accorgiamo neppure..

Osservare i bambini

Che accade in un laboratorio di costruzione della favola destinato ai bambini? Moltissime cose.
Prima di tutto ci sono  i bambini che interagiscono tra loro e con me, nella costruzione della favola. Ciascuno parla, vuole esserci, partecipare: costruire per sè uno spazio significativo.
Poi c'è la favola che emerge: ogni bambino ne scrive un pezzo, aggiunge, modifica, cambia quello che non gli piace e tiene per se quello che trova importante.
Infine c'è il gruppo: se la favola riesce è perchè il gruppetto (o almeno un nucleo) si forma e funziona.
E per ultimo c'è quel qualcosa che ogni bambino lascia di sè. Quel dettaglio che l'animatore del laboratorio a volte riesce a cogliere e che è così prezioso.
Io spesso cerco di restituirlo ai genitori o ai nonni, se sono interessati.
Non sempre succede.